Berlino è “Not-Applicable”!

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Dal 2 al 10 settembre si svolgerà, in diversi locali storici di musica improvvisata e sperimentale di Berlino, il NOT APPLICABLE ARTIST FESTIVAL.

Maurizio Ravalico, artista triestino naturalizzato inglese, è uno dei musicisti che ha reso possibile questo progetto. Gli abbiamo fatto una breve intervista, per saperne di più, sulla sua musica e su questo evento.

In che cosa consiste il NOT APPLICABLE ARTIST FESTIVAL e perché proprio Berlino?

Allora, vorrei partire dall’inizio, e spiegarti cos’é NOT APPLICABLE: un’etichetta “fantasma”, originariamente creata nel 2002 da Sam Britton (alias Isambard Khroustaliov) e Ollie Bown, componenti del duo laptop Icarus, con l’unico scopo di rendere pubblico un lavoro finito ogniqualvolta non ci fosse un’etichetta vera e propria immediatamente disponibile a pubblicarli. Negli anni seguenti, alcune delle collaborazioni esterne di Sam e Ollie sono state fatte uscire con Not Applicable, ampliando in questo modo sia il catalogo che gli scopi dell’etichetta. Poco a poco, spontaneamente, si é formato un gruppo creativo di sette persone, che ha cominciato nel 2007 a girare Inghilterra ed Europa, presentando una serie di progetti sotto il nome comune di Not Applicable Artists, e in seguito ad organizzare delle serate ricorrenti a Londra e a Berlino, chiamate Appliances; eventi di natura aperta, contrassegnati sempre dalla presenza di ospiti e collaboratori esterni. I membri del gruppo sono ora otto, e vivono quasi tutti tra Londra e Berlino.

Il NOT APPLICABLE ARTISTS FESTIVAL é nato da una serie di circostanze, prima tra le quali il fatto che la maggior parte di noi si trovasse a Berlino nella prima metà di settembre. Avevamo già organizzato alcuni concerti in quel periodo, e io non ho fatto altro che aggiungerne altri e raggrupparli tutti sotto un comune denominatore.

In un’intervista per il sito openimpro.com, accomuni l’improvvisazione all’anarchia e all’ateismo. Il tuo è uno stile di vita a tutto tondo? Adatti l’improvvisazione ad ogni lato della tua vita quotidiana e non?

Beh, non ad ogni aspetto della mia vita, sebbene vorrei imparare a farlo di più, e la musica mi sta insegnando molto in merito. Sai, l’arte fornisce i mezzi per esplorare il significato di pulsioni e ossessioni di cui saremmo altrimenti solo vittime; la musica improvvisata mi ha sempre attirato molto, ed é stata un’esperienza liberatoria e profonda, che mi ha certamente aiutato nel mio personale cammino di essere umano, ma non potrei usufruirne in modo unilaterale. Mi piace la musica tonale, il ritmo, la musica composta, mi piace la canzone, il rock e una miriade di forme di costruzione musicale, e in cuor mio credo che ognuna di esse abbia bisogno di tutte le altre per rigenerarsi, per continuare a rinnovarsi.

Ricercare nuovi linguaggi, destrutturare in modo metodico forme note di costruzione, é un cammino che mi ha sempre attirato molto, ma a metterlo in pratica quotidianamente ci sono arrivato per gradi, e in tempi relativamente recenti. Dal 2000 al 2004 ho passato dei lunghi periodi in Italia e ho collaborato assiduamente con un collettivo artistico della mia regione, che si chiamava Ezzthetic; in quella situazione mi sono preso del tempo per esplorare il mio strumento, e sperimentare nuovi modi per costruire musica, anche in relazione con altre discipline (teatro, video, letteratura). Ed ho iniziato ad improvvisare.

Poi nel 2005 sono rientrato stabilmente a Londra e, spinto dal desiderio di continuare quell’esperienza, ho scoperto la scena storica dell’improvvisazione britannica, e un sacco di altri ambienti londinesi che prima di allora mi erano completamente sconosciuti. É stato allora che ho conosciuto Sam/Isambard e Ollie, ed ho iniziato a collaborare con loro.

Nel corso della tua carriera hai avuto l’opportunità di lavorare con grandi artisti. C’è stato un incontro che ha davvero segnato la tua carriera e/o la tua vita?

Tutti gli incontri che ho fatto nella mia vita hanno lasciato un segno, non potrebbe essere altrimenti; e hanno tutti, ognuno nella sua misura, contribuito a definirne la direzione, e fare di me quello che sono oggi. Non me ne viene in mente uno particolarmente sensazionale; penso che me lo ricorderei. Poi dipende in gran misura dalla quantità di tempo che passi a contatto con un artista. Con Jason Kay ho lavorato ininterrottamente per due anni, ed ho imparato tantissimo dal suo talento, mentre é chiaro che passare quattro ore in studio con Paul McCartney non ha lasciato un marchio profondo, se non in termini di prestigio. Questo discorso però vale in egual misura per altri musicisti con cui ho passato centinaia di ore della mia vita, musicisti meno noti, i cui nomi non compaiono nei giornali, ma che non sono stati per questo meno determinanti nella mia crescita.

Nei prossimi mesi uscirà anche il tuo ultimo album “In Thunder Rise” in collaborazione con Oren Marshall e Isambard Khroustaliov: un lungo viaggio privo di silenziosi intermezzi composto da due volumi di circa 50 minuti ciascuno.

Tra i vostri suoni è possibile udire anche Londra. Che ruolo svolge la città nella vostra improvvisazione? Perché avete deciso di includerla nel progetto?

Come spesso accade, l’identità finale di questo album é il risultato di una serie di scelte che sono state fatte senza una meta prefissa. Ricordo molto chiaramente di aver avuto, nei giorni in cui iniziavamo a parlare della registrazione di un album, una specie di folgorazione: una visione di me e Oren che urliamo la nostra musica in mezzo al traffico, mentre questo la sommerge, la sovrasta, e di averne parlato con Oren, proponendogli di inserire un episodio del genere nell’album. Abbiamo giocato per un po’ con questa idea, finchè un giorno Oren é venuto da me e mi ha detto, “Registriamo tutto l’album all’aperto!” É stato un po’ con uno spirito da teppistelli, con un’idea di terrorismo soffice, che abbiamo deciso di scavalcare completamente il protocollo dello studio di registrazione e impadronirci di spazi pubblici senza spendere soldi o chiedere permessi a nessuno; ci siamo poco a poco appassionati alla diversità dei paesaggi sonori della metropoli, e abbiamo iniziato ad esplorarne le possibilità.

Isambard Khroustaliov ha partecipato a tutte le fasi di questa avventura in qualità di tecnico del suono, ma il suo contributo va molto più in là dell’assistenza tecnica. Usando una combinazione di microfoni fissi e tecniche di registrazione mobile, Isambard si muoveva continuamente nello spazio, facendo scelte in tempo reale mentre io e Oren improvvisavamo e, a tutti gli effetti, improvvisando con noi. Sebbene questo sia un album per congas e tuba, la presenza di Isambard é percepibile in ogni istante, in forma di profondità sonora, di spazialità e di movimento, ed é per questo che “In Thunder Rise” é presentato come un album in trio.

Detto questo, ci sono ascoltatori che, come stai facendo anche tu, mi stanno suggerendo un ulteriore strato, indicando che la costante presenza di Londra nell’album fa di questa una protagonista personificabile, una quarta componente di questa ensemble, e io sottoscrivo questa osservazione. Il paesaggio sonoro di Londra, e in generale l’esplorazione contemplativa della città, é presente e vivace nell’immaginario di chiunque ci vive; su questi temi sono stati scritti libri, articoli, pubblicate raccolte di fotografie. É una città che si fa amare molto facilmente, e questo é il nostro piccolo contributo, la nostra lettera d’amore.

Durante una delle nostre registrazioni, dopo la conclusione di un pezzo, si sente arrivare un gruppo di donne, probabilmente appena uscite dal lavoro, che un attimo prima di passarci davanti si rendono conto dell’anomalia che rappresentiamo nel paesaggio, e si mettono a ridere e, apparentemente, a scambiarsi battute sulla situazione; ma in realtà non si riesce a discernere nemmeno una parola di senso compiuto. Sono in cinque, vanno avanti così per quasi un minuto, “parlando” simultaneamente; sembrano uno stormo d’uccelli. In un altro pezzo, un tipo viene da noi mentre suoniamo, e ci incita a dargli un beat, così che lui ci possa fare un rap sopra; noi, ben lungi dal fornirgli un beat, scimmiottiamo le sue fanfaronate coi nostri strumenti e lui, invece di prendersela, sta al gioco. In un altro ancora il fracasso del cantiere antistante é talmente dominante, che abbiamo finito coll’abbandonare qualsiasi idea di sviluppo musicale, e abbiamo iniziato ad emettere dei lunghi bordoni, quasi fondendoci con l’ambiente sonoro. Tutti questi episodi sono rimasti nell’edit finale dell’album, sono tanto importanti quanto i nostri strumenti, e concorrono tutti all’orchestrazione finale. A tutti gli effetti stiamo duettando con la città; un terzo, anzi, come dicevamo, un quarto musicista.

Un’altra cosa di cui ci siamo resi conto molto presto era che sarebbe stato un’imperdonabile errore di forma inserire dei silenzi artificiali fra un pezzo e l’altro. Lo sfondo, la tavolozza sopra la quale si sviluppano le nostre esecuzioni, non é solamente un articolato e mutevole paesaggio sonoro, ma nel nostro caso é un elemento attivo dell’orchestrazione, e rimane perciò costante, così come lo sarebbe il silenzio in una normale registrazione in studio. Una gran fetta del tempo dedicato all’editing é stata impiegata per arrangiare minuziosamente i tempi e le modalità di dissolvenza fra un ambiente sonoro e l’altro, usando la stessa cura che avremmo per una composizione musicale. Il risultato é, come dici tu, un “viaggio” ininterrotto, in cui da ascoltatore ti ritrovi a volte lanciato dentro un nuovo spazio in maniera drammatica e traumatica; altre volte invece la transazione é lenta e ben studiata, cosicché ti ritrovi in un ambiente diverso da quello precedente senza nemmeno capire bene come sia successo. In tutti questi casi quello che abbiamo cercato di fare é della poesia.

Dal tuo percorso sembra che la chiave del successo sia non fermarsi mai, continuare a studiare ed intercambiare le proprie conoscenze con gli altri. Ed ora, quali progetti ti attendono?

Innanzitutto, c’è l’uscita del disco “In Thunder Rise” ad ottobre. Poi continuerò sicuramente a dedicarmi all’avventura Not Applicable, che mi appassiona tantissimo. In maggio abbiamo registrato a Berlino un album con un nuovo trio, Fiium Shaarrk (I.Khroustaliov-computer, R.Fischerlehner-batteria e io alle percussioni), che reputo un cavallo vincente e che sono determinato a promuovere con grande energia.

All’inizio di ottobre tornerò a Londra, dove lavorerò per “Fela!”, un musical sulla vita di Fela Kuti che andrà in scena fino alla fine di gennaio al National Theatre, dopo due anni di rappresentazioni a Broadway. Poi é molto probabile che io ritorni a Berlino, almeno per un altro trimestre.

Ho avuto il piacere (in anteprima!) di ascoltare in anteprima il disco “In Thunder Rise” ed è stato per me un nuovo modo di esplorare i suoni e di esplorare Londra attraverso i suoni.

Vi consiglio, rigirando il consiglio di Maurizio stesso, di mettervelo nelle cuffie, ad occhi chiusi.

E se passate da Berlino ad inizio settembre, partecipate al NOT APPLICABLE ARTISTS FESTIVAL: tra gli altri eventi, sarà presentato un software, creato da Sam Britton ed Ollie Bown, in grado di far interagire in modo imprevedibile, ed improvvisato, la musica e la macchina!

Sul sito http://www.not-applicable.org/ potete trovare il calendario completo del Festival ed ordinare, o scaricare, l’album “In Thunder Rise”.


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