Generazioni di momenti incantati pronti all’uso

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Oggi vi voglio parlare di un progetto che affonda le radici nel passato e che racconta di due giovani ragazze andate alla ricerca di vecchi ricordi in soffitte impolverate. Sara e Serena hanno rovistato tra arrugginite cianfrusaglie e oggetti accatastati da tempo, aprendo armadi e sollevando pesanti coperte, per scoprire, infine, con grande meraviglia, il contenuto di vecchi bauli da tempo dimenticati. /

All’interno di questi scrigni hanno trovato fotografie che raffiguravano attimi ormai estinti, piccole immagini dall’aspetto un po’ malconcio, ma in grado di racchiudere ancora con intensità l’anima dei soggetti immortalati: le nonne.

A partire da questa scoperta le due protagoniste si sono messe all’opera, ognuna elaborando secondo la propria sensibilità artistica questi frammenti di anni lontani.

Serena Facchin è una fotografa e tutto ciò che osserva, vive e tocca, passa meccanicamente dalle sue pupille alla forma bidimensionale di una pellicola. In quest’occasione ha selezionato le immagini e ha saputo dare loro nuova vita restaurandole e colorandole digitalmente.

Sara Polverini, invece, da quando è piccola osserva le parole, le suddivide in sillabe, le scompone e le ricompone a seconda degli umori. Qui, ha scritto testi in grado di riportare in superficie emozioni lontane, sepolte sotto cumuli di sensazioni più recenti.

Sebbene si affidino a linguaggi personali e differenti, le due ragazze hanno un modo di vedere il mondo estremamente vicino e contingente, ma mai sovrapponibile ed interscambiabile.

Ero lì vicino allo stagno, stavo cercando tra l’erba la mia palla color del sole e invece ecco tra i piedi quello stupido ranocchio.

Gonfio e triste e luminoso. Strane bestie, i ranocchi. Sembrano sempre sul punto di diventare qualcos’altro. Ve la ricordate la storia di quello che si trasformò in principe?

Mia nonna, quella storia, me la raccontava sempre.

Cambiare è possibile, diceva.

Oh sì, è come un bacio.

E’ facile.

 

 

Cantava la Carmen, mia nonna. La cantava mentre annaffiava i gerani.

In mezzo all’orto, tra cani zoppi e tabacco essiccato, sognava il teatro.

Aveva le mani sporche di terra e la faccia di una principessa.

 

 


Mia nonna ha novant’anni e si chiama Mafalda.

Di Mafalda ha il nome ma anche i capelli. Sono crespi, tanti e neri. Ti sembra che dentro ci siano nascosti dei segreti.

Profuma di acqua di colonia e ha sempre la gonna a fiori e le Superga di tela bianca. Spesso sorride ,mi guarda negli occhi e sospira.

Quante parole può contenere un sospiro?

 

 

Quando ti voglio sentire vicina, indosso le tue cose.

La camicia candida di quando hai detto sì al nonno, gli orecchini che addosso vibrano come timide farfalle, i guanti da signora, che fidi alleati, nascondevano la fatica dalle tue dita.

Quando voglio sentirmi forte faccio un gioco: divento come te.

 

 

Le storie d’amore sono belle. Tragiche e belle.

Nonna Pierina le leggeva nei fotoromanzi comprati la domenica mattina.

Anni prima quelle storie le ascoltava alla radio, prima di dormire. Ago e filo in mano ma in testa la passione.

I fotoromanzi certo, erano migliori. C’erano le foto con gli attori.

Un piccolo cinema tra le mani.

Mi è capitato di sognarla mentre mi parlava.

Il vestito colorato e le parole stampate Courier New sopra una nuvola bianca.

 

 

 

Nella camera che era di mia nonna, ci trovi una scatola sbiadita.

E’ piena di foto sparpagliate e sorridenti.

Assuntina con il vestito buono, Lugnano 1965.

Le mele erano buonissime “

Ci assomigliamo, lo dico io.

Generazioni di momenti incantati pronti all’uso.

Quando guardo quelle foto piango sempre un po’.

Dov’è il per sempre?


 


Today, I want to talk with you about a project that rooted in the past. I’m going to tell you the story of two young girls who were looking for old memories in the dusty attics. Sara and Serena search among rusty sundries and objects stacked for a long time. While they were opening wardrobes and were touching off heavy blankets, at last, with a lot of amaze, they discovered the content of old trunks forgotten for a long time. In these caskets, they found some photos that were a symbol of extinct moments, small images with a battered aspect, but they could still gather with intensity the soul of immortal people: grandmothers.
Since this discover these two young women get to work and they tried to work out their own artistic sensibility from these old fragments.
Serena Facchin is a photographer and everything she watches, lives and touches, passes from her pupils to the two-dimensional form of a photo in a mechanic way. On this occasion she has selected the images and she could give it a new life style, renovating it and coloring it in a digital way.
On the contrary, Sara Polverini observes words, she divides it in syllables, she breaks it and she recomposes it on the base of her humors. She does it since she was a child. Here, she writes texts able to bring to the surface emotions away, buried under heaps of recent sensations.
Although these girls use personal and different languages, they watch the world in an extremely close and contingent way, but it is never comparable and interchangeable.

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