Ammettiamolo, Chopin patisce un po’ di quel pregiudizio per cui appena lo si sente nominare subito vengono in mente damine svenevoli e leziose, scatole di cioccolatini dipinte con paesaggi stucchevoli o nel migliore dei casi love me now and again, rainy days never say goodbye to desire etc etc.
E invece no! E’ vero, scriveva i valzer e i notturni per le signorine di buona famiglia a cui dava lezioni di piano ma capite che in qualche modo doveva pur campare anche lui, poverino.
Intanto però trafugava la modalità, magari facendola passare come un’esotismo da salotto ma di fatto spianando la strada nel gusto dei civilissimi parigini alla smembratura dell’impianto tonale che pochi decenni dopo sarebbe stato abbattuto a spallate.
Intanto però spingeva l’evoluzione del pianoforte verso nuovi timbri e nuove sonorità, con strumenti più solidi e resistenti, più decibel, più risposta al tocco, più sfumature, infinite nuove possibilità.
E poi il ritmo di danza, la firma di ogni suo capolavoro: quell’azzoppatura popolaresca della mazurka, retaggio barbaro della sua Polonia, colpo di grazia alla retorica dei balli. A Parigi infatti si passa in meno di due generazioni dal minuetto, danza di corte e di figura in cui si passeggia tenendosi per mano, al valzer che è l’appropriazione borghese del corpo e l’esaltazione sublimata della coppia, e poi giù, finalmente alla pura essenza indie-pop-snob della mazurka che nei salotti non si balla ma si ascolta, e le cui acciaccature ritmiche sono come delle battute zozze raccontate nel fumoir dopo cena, quando le signore sono rimaste di là – con la differenza che le mazurke le signore le possono ascoltare, oh l’emancipazione!
Quindi no, Chopin purtroppo non è l’equivalente musicale degli animaletti vetro di murano sui centrini di pizzo come ci siamo impigriti a pensarlo. Chopin è un gran maleducato.
Un esempio su tutti, uno dei pezzi più amati dai pianisti (nel senso che quelli bravi amano far vedere che sanno suonarla, quelli scarsi amano l’idea di poterla suonare un giorno) la Polonaise in La bemolle Maggiore op.53 è maleducatissima! Inizia con degli accordi pestoni e dissonanti che fanno tintinnare le porcellane nelle vetrine, inframmezzati poi da scale cromatiche per quarte parallele (eh, oh) inquietanti nel non dire bene dove vogliano andare a parare. E ancora l’indicazione del tempo “Alla polacca e maestoso”, come a dire “signorine, signore, signori: belli i vostri boulevard ma la tempra di noi coltivatori di cavolo nero ve la sognate”.
Poi insomma, la sua fidanzata fumava il sigaro e fondava giornali filorivoluzionari con uno pseudonimo maschile e si arrogava anche il diritto di dare i titoli alle composizioni (infatti è sua responsabilità se questo brano è conosciuto come “Polonaise Eroique”), ma questa è un’altra faccenda. Il sunto di tutto è: questo video di Martha Argerich giovanissima e meravigliosa non può non essere visto da chiunque almeno una volta nella vita, perché tutta questa maleducata e appassionata e sfacciata bellezza è l’occasione migliore per farsi spezzare il cuore.