Marina Josè Galindo està viva

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Sapevo solo di essere frastornata, uscita di lì avevo solo voglia di difendermi, anche la notte dormire non è stato così facile. C’è un tipo di arte che va studiata, ce n’è un’altra che va ammirata, ce poi c’è quella che ti investe come una secchiata d’acqua gelida. “Estoy viva”, la prima retrospettiva italiana dell’artista latinoamericana Regina Josè Galindo arriva al PAC di Milano (e ci rimane fino all’8 giugno 2014), ed arriva come una secchiata di acqua gelida. Regina Josè ha un corpo minuto, i lineamenti del viso che sembrano non aver mai circondato un sorriso, occhi corrosivi ma stanchi. È un corpo penetrato dal senso metaforico dell’arte che usa un corpo che nulla però ha di metaforico. Il corpo di Galindo è allo stesso tempo corpo sociale e corpo individuale, è il corpo sul quale si imprimono i crimini orribili commessi nelle sue terre guatemalteche, sul quale si imprime una denuncia sociale e politica che cerca di combattere una violenza diffusa sul corpo delle donne.

È un corpo a cui hanno tolto la vergogna, è un corpo que sòlo sé morir – una y mil veces –, ma per lo stesso motivo sopravvive, anzi vive per uno scopo collettivo, di memoria e di critica. Tutte queste sono infatti la sezioni, ed i concetti, attorno a cui si sviluppa il discorso di Galindo: politica, donna, violenza, organico e morte. Dovete (quasi) dimenticarvi di Marina Abramovic, della sua poetica soave, introspettiva e pungente, perché la body art di Galindo non punge, ma trafigge: cuore, corpo e anima. Regina Josè Galindo grida, ma lo fa quasi in silenzio, con quel filo di voce con cui legge le testimonianze di ingiustizie subite dal regime guatemalteco negli anni della Guerra Civile mentre un medico le anestetizza la bocca impedendole così di parlare (La Verdad, 2013). 

Ci sono gli impressionisti, che con i loro toni dolci ti cullano lo sguardo, ci sono i futuristi che ti eccitano la mente, poi ci sono i body artisti che ti tolgono la fame ed anche un po’ il giudizio. Attraverso dei video-testimonianze i body artisti guardano con occhio freddo e un corpo passivo i lati più oscuri della realtà e dell’animo umano. Si fanno trapassare come ombre per riversare i traumi del rimosso di una società che troppo spesso chiude gli occhi. La body art parla proprio a voi, che siete i primi, o forse gli ultimi di questi “ciechi moderni”: potete non capire, potete non gridare, ma non potete rimanervi indifferenti.

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