Ti West: l’orrore con calma

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Oggi vorrei parlarvi di un giovane regista americano di film horror al quale mi sono molto affezionato. Premetto: non ho visto tutti i suoi film. Mi mancano quell’esordio, The Rooster ed i segmenti da lui diretti per V/H/S e The ABC’s of Death. Il primo mi è semplicemente sfuggito, gli altri li vedrò quando supererò una mia congenita intolleranza per i film a episodi.
Il ragazzo, nato nel 1980, si chiama Ti West, è nato nel Delaware (uno di quegli stati che ogni tanto dimentichiamo fare parte degli USA) ed ha scritto e realizzato tre lungometraggi che vi consiglio vivamente.

Il primo s’intitola The House of the Devil, è del 2009 ed è entrato nelle liste dei “preferiti” di molti siti e riviste. Basso budget ma ambizione notevole: riuscire in un’operazione simile a quella del più famoso Grindhouse, che Tarantino e Rodriguez hanno, a mio parere, miseramente fallito.
I due discoli, infatti, volevano operare il solito gioco di prestigio “tongue in cheek”. Il risultato è che Death Proof e Planet Terror hanno funzionato (appena appena) a livello meta-cinematografico ma non sul piano fruitivo.
Ti West, tirandosela di meno, ha deciso invece di riprodurre fedelmente lo stile degli horror fine ’70 – primi ’80, restando sempre concentrato sul film, più che sullo stile. Così abbiamo sia il piacere cinefilo di ritrovare luci, colori, recitazione e regia vintage (ma senza la pellicola “rovinata” di Grindhouse, che dopo mezz’ora disturbava assai), sia quello puramente emotivo di partecipare alla storia e spaventarci. Appare subito chiaro che, al di là della volontà di riprodurre il ritmo d’epoca, West sia il tipo di narratore che ama prendere i suoi tempi. Questo, per me, è un enorme sollievo: non ne posso più degli horror che partono in quinta, dedicati a videogamers dall’attenzione scarsissima.

E lento, anzi, lentissimo, parte The Innkeepers (2011), uno dei primi titoli di genere, da diversi anni a questa parte, che mi ha fatto sinceramente parteggiare e temere per i suoi poveri protagonisti.
Tutto ambientato all’interno di un Hotel pronto a chiudere, il film si concentra sull’ultima notte di servizio dei due giovani impiegati: Claire (Sarah Paxton, deliziosa) e Luke (Pat Healy), entrambi appassionati ghost hunters. Lui ha creato un sito sull’Hotel, che si crede essere infestato dallo spirito di una donna impiccatasi alla fine dell’800.
Ovviamente troveranno ben più di quello che cercavano, con la tensione che cresce piano piano, quasi il film passasse dall’essere un incrocio tra rom-com e slacker movie fino a diventare un horror classico, di fantasmi e porte che scricchiolano. Niente sangue e nessun effetto digitale: solo due esseri umani, verosimili, che si confrontano con l’incubo. In un cameo compare Kelly McGillis, unica ospite dell’Hotel, ex attrice diventata medium.
Sono conscio del fatto che molti amici, per non parlare di diversi colleghi, hanno trovato The Innkeepers noioso. Non so cosa dirvi, sarà che invecchiando sono passato dal fast food allo slow food…

The Sacrament (2013) non lo catalogherei come horror bensì come thriller. Quando ho saputo che si trattava dell’ennesimo Found Footage ho alzato gli occhi al cielo. Oggettivamente: non se ne può più! Poi ha dato fiducia a West e, per la terza volta, è riuscito a non deludermi. Bella l’idea di mandare una troupe di VICE a investigare un compound religioso fuori dagli USA, dove la sorella di un amico ha trovato il “paradiso” rinunciando alla droga.
Non c’è traccia di shaky cam: la visione è fruibile, l’idea di ambientare la vicenda in uno spazio aperto e per lo più alla luce del sole è vincente. Ho apprezzato anche il fatto che non ci fossero rivelazioni “sataniche” o soprannaturali: si riproduce, infatti, in modo realistico, quello che potrebbe essere accaduto durante il massacro di Jonestown del 1978 (uno dei più grandi suicidi di massa della storia).
Il ritmo è intenso, con diversi momenti in cui si trattiene il respiro, gli attori bravi, soprattutto Gene Jones nel ruolo di Father e Amy Seimetz in quello della sorella plagiata. La sequenza in cui il reporter intervista Father davanti alla comunità è percorsa da una tensione magistrale: non è tanto quello che dice ma è il linguaggio corporeo del predicatore a suggerire la riserva di follia e violenza che sta per esplodere.

Il prossimo film di Ti West sarà un western: In the Valley of Violence ed io, che sono un vecchio trombone, sono terribilmente eccitato all’idea.

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