“Sometimes you have to step away from what you love in order to learn how to love it again”
Sono queste le parole con cui Damien Rice ha anticipato qualche settimana fa l’imminente uscita (prevista l’11 Novembre) del suo nuovo album, My Favourite Faded Fantasy, che arriva dopo una lunga riflessione durata 8 anni. Basterebbero queste poche parole ed un album intimo, diretto e intenso per apprezzare lo spessore e la crescita del cantautore irlandese divenuto icona musicale in pochi anni. Se poi hai la fortuna di assistere ad un suo concerto capisci di trovarti di fronte ad un esempio vivente di come la musica soul sia la combinazione e l’insieme di più generi musicali. La sua voce è incantevole e i testi poetici. E’ uno di quei musicisti in grado di intrattenere e divertire platee da tutto esaurito. Un One Man Show – solo lui, chitarra e pianoforte.
Il concerto in questione si è tenuto a Milano, giovedì scorso, di fronte al tutto esaurito del Teatro Linear4Ciak, un tendone alla periferia di Milano, che se non fosse per il calore del pubblico, mai renderebbe omaggio ad un talento come Mr. Rice. Ma siamo seduti dinanzi ad una rarità, uno di quegli artisti che con poco, anzi pochissimo, riesce ad affascinare una folla enorme. Luce fioca, due faretti a destra e a sinistra, lui, la sua chitarra e un pianoforte a coda. Ha un aspetto carismatico e a tratti divertente, in netto contrasto con il tono delle sue canzoni. E sarà per questo che riesce sempre a superare le aspettative (almeno le mie).
Quando le prime note di Delicate riempiono la sala è come ritrovarsi in una spiaggia remota, il mare in lontananza, il riflesso della luna, il calore di un falò, il tuo miglior amico che ti intrattiene. Con la sua chitarra, le sue movenze e i suoi pensieri. Intorno migliaia di persone, l’acustica perfetta, le melodie dolci e un pò malinconiche. Dentro le sue canzoni c’è tutto. In una parola vita. E lui appare per tutto il concerto come uno di noi. Non è una star, non è un cantante, non è un talento mentre è li, sul palco, ma è solo un tramite tra la dolce vibrazione che da sempre accompagna l’universo e te, che stai ascoltando. La sua musica ti penetra l’anima. Ti assopisce, ti racconta la storia della sua vita, ti coinvolge, ti fa cantare. Alterna qualche novità come The Greatest Bastard, a pilastri del suo repertorio come Volcano, che mandano in estasi il pubblico e poi, quando il concerto sta per concludersi, chiama a raccolta l’intero teatro, vuole tutti sotto il palco, vicini, a scambiarsi quell’energia invisibile all’occhio umano che ti scalda e ti fa sentire più vicino l’uno all’altro. E chiude la serata con la nuovissima “My favourite faded fantasy”, alla quale segue “Trusty and true” – con il suo mix di ritmi folk e afro, inattesa e sorprendente grazie anche al milanese Coro Barbarossa, che ne amplifica la spiritualità.
Ma il momento più bello del concerto, quello che ne sancisce l’unicità arriva con “The blower’s daughter”, il brano di chiusura che, intervallato a Creep, brano simbolo dei Radiohead, fa esplodere il pubblico in un coro all’unisono. E che potete riascoltare qui sotto. E una promessa, o meglio un arrivederci al prossimo anno.