Tina è un’enigma, ma non mente mai

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Il suo volto è nobile, maestoso, esaltante. Il volto di chi ha vissuto intensamente, profondamente e senza paura. Chi scrive è il fotografo Edward Weston, lei invece è Tina Modotti, fotografa, attivista politica, ma anche sua musa, amante e compagna. La trovate al Centro Internazionale di Fotografia Scavi Scaligeri a Verona, fino all’8 marzo 2015, in una mostra che porta il suo nome, forse l’ultima, non di Tina, ma degli Scavi Scaligeri, che vanno incontro ad una contestabile ma non ancora confermata chiusura. Tina è un enigma, ma non mente mai, continua Weston. Non mentono nemmeno le sue fotografie che hanno troppa vita, la sua, al loro interno per essere considerate da lei stessa ‘non arte’. Nel 1925 è proprio Tina ad ammetterlo: metto troppa arte nella mia vita e di conseguenza non mi resta molto da dare all’arte. Dietro si cela il suo animo tormentato, quello che accomuna i più veri artisti, ma anche la forza caratteristica della fotografia: il suo non voler essere a tutti i costi ‘arte’, ma il suo dover essere qualitativamente valida per raccontare al mondo gli infiniti aspetti della vita.

Dietro l’occhio fotografico di Tina però si nasconde molto di più: silenziosi e tenaci ideali, un’umile vita segnata da lotte e dolore, l’insospettabile bellezza che si incontra nelle più semplici cose. Parte da Udine con la famiglia che si trasferisce a San Francisco, poi è la volta di Los Angeles per arrivare alla carriera di attrice a Hollywood. Ma la vita è da un’altra parte: nel 1922 perde il marito mentre lo stava raggiungendo in Messico per vivere lì con lui. In Messico Tina poi ci torna per restarci e diventa la fotografa dei muralisti Orozco, Rivera e Siqueros, incontra Frida Khalo e Manuel Alvarez Bravo. Si avvicina al dibattito politico e al partito comunista, viene accusata di aver partecipato ad un attentato contro il Capo dello Stato, viene arrestata e espulsa, vive una seconda vita tra Germania e Unione Sovietica, ma è una sorta di esilio fino al suo ultimo ritorno in Messico, dove scopare prematuramente nel 1942, a quarantasei anni. La fotografia è la costante di tutta questa sua tormentata vita di affetti, di abbandoni e di ritorni. Le prime fotografie sono studiate e controllatissime, nulla viene lasciato al caso, l’occhio di Tina cattura ritagli di mondi immobili e li eleva all’infinito. Le sue fotografie più belle, o solo le mie preferite, sono i ritratti delle donne messicane che fra le pieghe attorno agli occhi, quelle delle pesanti gonne alle caviglie e le pieghe delle gambe cicciotelle dei bambini che tengono in grembo, raccontano tutta quella vita e quegli ideali che Tina aveva vissuto e amato nonostante gli schiaffi delle avversità.

 

 

 

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