Spoon and travel: a book will save your life

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Mi sono avvicinata con fare sospetto non appena l’ho visto troneggiare sullo scaffale, con quella sua copertina un po’ strana che ha attirato la mia attenzione. Si è presentato in modo un po’ altezzoso, snob… “piacere, sono il grande libro della cucina”. Per essere il grande libro della cucina dovresti contenere un’infinità di ricette, dovresti essere un’opera mastodontica, quasi peggio de “La Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” del nostro saggio Pellegrino Artusi. Invece hai solo un paio di posate in copertina, tra l’altro di legno, e un font che sembra scarabocchiato a mano. Il mio primo incontro con “Il grande libro della cucina” è stato nel bookshop di un museo e il suo fare altezzoso da Bibbia dei food lovers in realtà, si è trasformato quasi subito in un amore a prima vista.

spoon and travel bobos

Primo punto a favore: la copertina in legno e il sottotitolo “stili, cultura e ricette da tutto il mondo”, già trovare un libro che parla di culture culinarie da tutto il mondo, in Italia, non è cosa semplice. Secondo punto a favore: l’interno di copertina, fucsia con le verdure stilizzate. Terzo punto a favore: l’introduzione con la rassegna degli stili culinari da tutto il mondo, come il mediterraneo, l’arabico, il nordico, l’asiatico, il vegetariano, il caraibico e lo street food. Quarto punto a favore: la grafica semplice, lineare, scherzosa, un insieme di disegni e immagini reali. Quinto e ultimo punto a favore: non appena l’ho aperto mi sono sentita risucchiata in un lunghissimo viaggio attorno al mondo, desiderando di scoprire sempre di più su ogni ricetta.

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“Il grande libro della cucina” edito da Il Sole 24 Ore Cultura è un piccolo atlante mondiale della buona cucina, dove i colori diventano i protagonisti dello show. Soffermarsi sulla cucina dello Yemen, quando fino all’altro giorno non se ne conosceva nemmeno un piatto, scoprire che anche il Canada fa parte dei “big” della cucina mondiale e imparare a cucinare zuppe thailandesi, come la Tom Kha Gai, cercare disperatamente le foglie di Callalloo, originarie di Trinidad e Tobago e sperare che appaiano da un momento all’altro nell’inverno della pianura Padana. Insomma, un libro che mi ha trasportato da una parte all’altra del mondo con il suo fare un po’ presuntuoso. Un libro che salverà la vita a tutti food lovers.

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