Normali? No, “Normcore”

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Probabilmente molti di voi non avranno mai sentito parlare di “normcore”. Eppure il termine, derivato dall’unione di normal e hardcore, è stato una delle parole più googlate dello scorso anno. Ma in Italia, si sa, siamo sempre un po’ indietro quando si parla di stare al passo con le tendenze, quindi non preoccupatevi se tutto ciò vi giunge nuovo. La storia del normcore nasce solamente un anno fa, quando sulle colonne del New York Magazine la giornalista Fiona Duncan ha pubblicato una propria riflessione sull’appiattimento delle scelte stilistiche dei newyorkesi.

La questione principale ruotava intorno alla difficoltà che la signora Duncan trovava nel distinguere artisti e modaioli dai semplici turisti in cerca di souvenir a Times Square. Eserciti di individui con indosso T-shirt bianca, jeans stonewashed, sandali (o ciabatte di plastica, nella peggiore delle ipotesi) e berretto da baseball si aggiravano a Ground Zero così come nel Village o tra le gallerie d’arte di Chelsea creando scompiglio tra chi di mestiere analizza lo stile delle persone. Tutti uguali. Tutti anonimi. In realtà il termine normcore non è un’invenzione di Fiona Duncan, ma dell’agenzia K-Hole che durante una ricerca sociologica sulle modalità comportamentali e di consumo del XXI° secolo aveva riscontrato questa particolare tendenza alla normalità. Un tempo si nasceva come parte di una comunità e con gli anni si costruiva la propria individualità.

Oggi, al contrario, si nasce individui e strada facendo si cerca una collettività a cui appartenere. Ed è proprio in questa ottica che si è formata la filosofia normcore: non è importante essere qualcuno, ma ciò che conta è essere liberi di poter stare con chiunque. E per stare con chiunque quale miglior mise di una maglietta bianca e un paio di chinos? Emily Segal di K-Hole sostiene che l’essere “normali” non un’intenzione di impersonalità, bensì un modo per essere riconoscibili, per essere simili ad altri e cercare così una connessione, un’opportunità di contatto. Natasha Stagg, Online Editor di V Magazine, fa un’analisi meno sociologica e più fashionista sostenendo che questa tendenza all’anonimato nasce come conseguenza del libero accesso all’informazione: oggi siamo tutti iperconnessi e iperinformati tanto che i cicli di moda sono diventati impossibili da seguire. Ciò che oggi è figo, domani potrebbe essere da sfigati.

E l’unico antidoto a questo terribile virus è rappresentato dall’essere normali. Antesignani inconsapevoli della corrente normcore sono stati riconosciuti universalmente personaggi come Jerry Seinfeld e Steve Jobs (con i suoi iconici maglioni a collo alto abbinati alle solite New Balance 992). Ovviamente la questione ha fatto talmente tanto clamore che le aziende, anche quelle più prestigiose, hanno visto in questa nuova tendenza la classica gallina dalle uova d’oro da sfruttare. Ecco così che Louis Vuitton ha reinterpretato in versione luxu la Retro X Fleece Jacket di Patagonia, Kanye West ha realizzato con adidas una collezione che sembra il “manifesto” del pensiero normcore, mentre North Face, Penfield e Uniqlo con i loro capi dallo stile “anonimo” stanno vedendo i propri fatturati aumentare a dismisura. Ma come in ogni fiaba che si rispetti, anche qui non è tutto oro quello che luccica. Tra gli hater del movimento c’è chi addirittura sostiene che sia tutta una truffa. Sulle colonne del New York Times è apparso un editoriale con una teoria ben precisa che si chiede se la storia della normalità sia solo una trovata mediatica. Un qualcosa di inventato che diventa reale solo perché tutti dicono è vero. Un po’ come la storia del finto ubriaco che diventa tale solo perché gli altri credono che lo sia. Soluzioni non ne abbiamo e come sempre scopriremo i vincitori solo vivendo. Ciò che per il momento possiamo dare per certo è che i “normali” hanno spodestato dal trono della moda gli hipster (di cui sentiamo già la mancanza). Comunque voi per non sbagliare ricordate sempre che essere normcore non è poi così facile. Non basta solamente vestirsi in maniera semplice per essere definiti tali. L’unica clausola per essere considerati degni esponenti del movimento è quella di essere già stati in precedenza persone un po’ alla moda. Allora si che tutto avrebbe un senso. Altrimenti rischiereste di essere solamente delle persone normali che si vestono male. Chiaro, no?

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