Potere a chi lavora. Il mondo della moda internazionale, sempre alla ricerca di nuove icone e nuovi miti, sembra aver trovato la propria musa ispiratrice nella classe operaia. Non che questa sia una novità, visto che sin dalla fine degli anni ’70 con l’esplosione della sottocultura punk lo stile “povero” è stato ciclicamente sulla cresta dell’onda, ma in questo preciso istante storico possiamo affermare senza paura di essere smentiti che la nuova corrente di pensiero che accomuna i protagonisti del fashion system è sempre più rivolta verso la working class. In una società che consuma tendenze e mode con la stessa velocità con cui si viaggia in treno tra Roma e Milano, il mainstream modaiolo ha ben presto abbandonato la filosofia del normcore, così come quella più pittoresca dei seapunk, per tornare al vecchio amore dello street style.
Senza scomodare Veblen e “La teoria della classe agiata”, per decenni la moda si è retta su di una motivazione aspirazionale: trasmettere, attraverso gli abiti, lusso e benessere mettendo così l’accento sulla propria realizzazione sociale. Non a caso stili e tendenze si sono propagate dall’alto della scala sociale verso il basso. Con l’arrivo del punk poi le cose sono cambiate e le abitudine vestiarie del sottoproletariato sono state viste dagli stilisti come una fonte a cui attingere. Vivienne Westwood docet. Questa passione per lo stile street si è poi ripetuta ciclicamente negli anni ’80, nei ’90 (il fenomeno del britpop e la sua vicinanza all’abbigliamento degli hooligan) e persino nel primo decennio del nuovo secolo. La trasformazione delle linee sportive in luxury-sportswear, la riabilitazione delle sneaker, l’innovazione tecnologica e la ricerca di nuovi materiali sono solo alcune delle caratteristiche che hanno portato diverse maison ad intraprendere questo percorso. Aziende come Nike e adidas producono capi dedicati allo sport dall’alto tasso tecnologico vendendoli poi a prezzi ben più alti di quelli adottati dai maggiori brand del lusso. Ecco così che i capi Gyakusou (Nike + Undercover) ideati inizialmente per il running sono soliti essere abbinati a look urbani e sfoggiati da manager e broker tra le strade di New York, Londra o Los Angeles. Basta guardare una qualsiasi sfilata in programma durante una delle settimane della moda per accorgersi di come anche le grandi firme italiane o francesi abbiano lanciato linee di sneaker o capi dedicati all’attività fisica venduti poi nei grandi magazzini del lusso come Dover Street Market, Barneys e Harvey Nichols.
In questa logica rovesciata da banco di scuola sembra proprio che il primo della classe voglia scopiazzare, rivalutando pensieri ed azioni in un ottica premium, le idee del somaro della classe. Ciò con cui però bisogna fare i conti è la maggiore consapevolezza del consumatore moderno in grado di riconoscere l’autorevolezza dei lavori proposti da ogni singolo brand. Per adottare uno stile urbano senza il rischio di essere rigettati dal mercato è fondamentale avere un patrimonio heritage assai credibile. Onde evitare di essere smascherati e gettati nel dimenticatoio. Sarebbe assai riduttivo pensare che il segreto del successo possa essere racchiuso nella semplice attesa delle mosse altrui per poi poterle ricopiare e magari migliorare. Dietro il successo di ogni azienda si nasconde sempre il lavoro. E qui torniamo all’inizio di questo articolo. Potere a chi lavora!