Nell’immaginario comune è vivido lo stereotipo di una Republica Popolare Cinese: caotica, iperproduttiva, inquinata. Sarà che l’infinita estensione dei suoi confini le permette di contenere qualsiasi scenario immaginabile, ma sempre più spesso si riesce a intravedere una nuova consapevolezza e una nuova tendenza delle dinamiche economiche e sociali della Cina. Insieme ad un trend architettonico di riuso e di recupero è tangibile un interesse per l’arte che, nonostante le contraddizioni e le repressioni, spinge alla necessità di creare nuovi spazi che possano ospitare opere e diventare attrazioni ma anche propulsori per le nuove generazioni di artisti.
Da questo stimolante connubio sono nate alcune interessanti esperienze come quella del distretto dell’arte di Pechino: il 798, vera e propria fucina dell’arte nata dalle ceneri di una grande area industriale dismessa con spazi potentissimi e forme autoritarie e asciutte. Inserendosi in questo contesto lo Studio Pei-Zhu ha trasformato una fabbrica anonima degli anni 80 in un nuovissimo contenitore per l’arte contemporanea. Partendo dalle strutture in cemento armato che componevano lo scheletro della vecchia fabbrica si è potuto lavorare su grandi luci, spazi plasmabili per la funzione espositiva che ha spesso la necessità di modificarsi in base a ciò che ospita.
L’intersezione di piani e volumi ha permesso di rivoluzionare la forma originale lasciando solo in alcuni punti la vecchia struttura a vista, rimangono le travi e la “stoà” congelate come al momento della dismissione, un monito e una traccia della storia passata anche se recente. La necessaria neutralità ha portato alla scelta di colori chiari, il bianco e il grigio. lasciando il colpo di teatro ad un nuovo volume appoggiato alla facciata principale eccessivamente simile a qualcosa vista tra Bilbao e Los Angeles. Nell’origami di fogli di cemento trovano posto percorsi espositivi, affacci ad effetto, spazi di lavoro e di lettura e persino una cavea, un ottimo modo per far cambiare idea agli scettici.