Lo spazio esterno antistante la Serpentine Gallery è in realtà un campo di battaglia tra menti creative, visitato ogni anno da migliaia di visitatori ( probabilmente molto più della galleria che lo promuove e sviluppa) è opera di studi di architettura spesso ibridati e influenzati dall’arte contemporanea che propongono al pubblico la loro sperimentazione sullo spazio pubblico. Quest’anno, forse anche un po’ in ritardo, tocca all’enfant prodige dell’architettura contemporanea, quasi un supereroe: dotato di mascella da attore di Hollywood e loquace come un presentatore televisivo, è Bjarke Ingels.
Confrontatosi spesso con i temi dei padiglioni temporanei l’architetto danese parte da un archetipico elemento, il muro, protagonista di innumerevoli esercitazioni universitarie , e cerca di scomporlo e plasmarlo alla sua maniera. Guidato spesso da un funzionalismo esasperato ma tremendamente efficace BIG forse questa volta è spaesato, la forma non dipende dalla sostanza, perché la sostanza non c’è, e allora la strategia diventa quella di smaterializzare un oggetto fortemente compatto, forse il più compatto, elemento fondamentale del costruire e capace di soddisfare una esigenza fondamentale dell’abitare: il recingere.
Creando un muro “abitato” le due superfici che lo compongono danzano, sono nate e costruite seguendo algoritmi parametrici e stringhe di funzioni capaci di sostituire l’atto creativo con lo scorrere di un slider di grasshopper, i due fogli sono composti da innumerevoli elementi tutti uguali delle scatole in fibra di vetro legate da profili metallici a vista. L’opera svolge il compito in maniera esemplare, colpisce e attira i visitatori, è perfetta per essere immortalata e condivisa sui social network, ad una corposità e una matericità si contrappone la trasparenza trasversale, garantita dalla leggerezza delle scatole che compongono la struttura, ma è un tema innovativo? il nostro supereroe danese pensa davvero di aver fatto il suo dovere di innovatore?