Quello che le donne non dicono

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Quando abbiamo a che fare con altre persone spesso succede questo. Succede che non siamo in grado di esprimerci completamente o quanto meno che non ci sentiamo di dire loro tutto quello che pensiamo. Puntiamo alla diplomazia, all’essere superiori, a non scadere nella volgarità. E quindi ci rimane l’amarezza del non detto, le parole mancate, sospese, che ci avvelenano il sangue, portandoci anche un po’ di frustrazione.

In ambito sentimentale ancora di più. Ci muoviamo con passo felpato, cercando di non urtare nessuna altrui sensibilità. A fregarci è un po’ di orgoglio, sano ma controproducente, misto alla paura di perdere quei pochi traguardi raggiunti all’interno delle relazioni sbagliate in cui ci troviamo dentro. Accade a tutte, quindi mal comune mezzo gaudio. Viviamo spesso situazioni simili, possono cambiare alcune dinamiche ma il succo rimane quello, per cui la solidarietà femminile si fa fondamentale e salvifica.

Allora ho deciso di realizzare un piccolo traduttore universale delle cose che non diciamo ma pensiamo quando ci troviamo all’inizio di una frequentazione che ancora non si sa bene dove andrà a parare ma che già lascia perplesse. Pochi punti essenziali che ci accomuneranno in questa continua lotta col sesso opposto.

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Al suo mancato messaggio nell’arco della giornata la tua non risposta è più o meno: “Ciao, dimmi cosa diamine hai da fare tutto il giorno di così impegnativo da scordarti di pensarmi un momento e farmelo sapere” oppure “grazie anche oggi di esserti ricordato di me. Stronzo”.

Al suo “vado con una mia amica al cinema” la tua risposta è “ok, buona visione!” la traduzione fa più o meno: “maledetto fedifrago, lei chi è? cosa fa? ma poi perché non inviti me che sono qui che non aspetto altro??? bastardo”

Suo messaggio notturno “dove sei? mi raggiungi che andiamo a casa insieme?”, rispondi “sì va bene, dove?” ma quello che vorresti dire è: “non sono la tua troia, obiettivamente potresti anche fare lo sforzo di invitarmi a bere qualcosa prima di portarmi a letto, bestia da soma”

Dopo una presa di coraggio e qualche scambio di battute al suo “sono fatto così” dentro di te esplode una bomba nucleare ma dissimuli benissimo, rispondi un “capisco” e pensi “maremma bucaiola, con tutti i fottuti sforzi che sto facendo io per farla decollare tu ti permetti di nasconderti dietro questa scusa del cazzo? Fanculo sfigato”

Idem quando accade che riceviate come risposta ad una vostra affermazione il “sei pazza”. “Oh sì bello mio, lo sono eccome. E se potessi disinibirmi da ogni freno te lo dimostrerei bruciandoti casa, tagliandoti tutti i vestiti a pezzettini e facendoti terra bruciata attorno nel monmdo femminile sputtanandoti per le tue arti amatorie” ma la risposta sarà un ironico “hai ragione” o un “lasciamo perdere”, in una diplomazia da manuali, che non gli lascerà mai e poi mai intravedere cosa sareste in grado di fare. Tu e le tue fidate amiche del cuore. Buahahahah (risata satanica).

“Ti voglio bene”. Ok, se avessimo 15 anni sarebbe dolcissimo ma a trenta il ti voglio bene detto tra due persone che vanno a letto insieme e palesemente provano un interesse reciproco rasenta il patetismo. Rispondi “anch’io” e lo fai per educazione e compassione ma intendi palesemente “ma cristo santo quanti anni hai?! ma li hai superati gli esami della patente di guida? dai per favore, cosa mi tocca sentire e ora mi tocca pure mettermi al tuo livello, che vergogna!”

“Non sei tu, sono io”. Kim Jong-un, dittatore della Corea del Nord, in quel momento, a nostro confronto, è un innocuo agnellino che verrà sacrificato alla santa pasqua, perché, all’udire questa frase, al vederla scritta sullo screen-saver del nostro smartphone, siamo estremamente consapevoli che il mondo non sarà più lo stesso. E’ partito il conto alla rovescia e sarà irreversibile. Non sei tu, sono io. Il grande classico della vigliaccheria, il grande esito della storia sbagliata. Forse questo è il momento in cui si può parlare senza troppi fronzoli e senza trattenersi ma è anche quel momento in cui vogliamo essere concise, assertive senza risultare pesanti. E quindi ci blocchiamo per l’ennesima volta.

Ma quello che vorremmo rispondere in realtà è: “certo che sei tu, sei tu perché sei un poveretto, un misero, un grandissimo coglione. Sei tu perché non sai valutare chi hai davanti, non sai dare un peso alle parole, un valore alle persone che frequenti, non sai distinguere la merda dal cioccolato. Sei tu perché il tuo egoismo precede ogni possibile apertura, perché la tua superficialità supera qualsiasi buona intenzione, perché il tuo esprimerti con queste banalità ti inserisce nella gamma degli uomini tristi e mediocri. Certo che sei tu, non potrebbe essere diversamente piccolo uomo dalle piccole palle. Sei tu che non hai coraggio, sei tu che non hai voglia, sei tu che non hai cuore, certo che sei tu. Sei proprio lì, a metà tra la definizione di sfigato galattico e represso senza fine, a metà via tra l’ultimo degli stronzi e il primo dei codardi, certo che sei tu. Tu e la tua meschinità, che gioviale coppietta con cui raffrontarsi. Avevi qualche dubbio? certo che sei tu, sei tu e nient’altro che tu.”

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