TOM HERCK HA BRUCIATO “THE WALL” A BURNING MAN

Abbiamo chiacchierato con l’artista belga a pochi giorni dalla performance nel deserto del Nevada

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Classe 1984, originario di Sint-Truiden, cittadina nella regione delle Fiandre del Belgio, Tom Herck ha un passato da graffitista e la nomea di artista che non scende a compromessi. Mescolando simbolismo e satira in opere che toccano spesso temi controversi, fin dai tempi dell’installazione “Holy Cow” (2017) ha appurato che il suo lavoro non lascia indifferenti quando tocca argomenti sensibili o nervi scoperti della società. Esposta nella chiesa belga di Kuttekoven, l’opera è ad oggi il suo lavoro che ha riscosso più eco mediatica, suscitando le proteste di alcuni esponenti cattolici e subendo diversi atti di vandalismo.

Reduce dall’ultima performance a Burning Man, in cui ha dato alle fiamme il suo lavoro “The Wall”, Herck è il secondo artista belga a partecipare al festival che si tiene ogni anno a Black Rock City, dopo Jan Kriekels e Arne Quinze nel 2006. Qui ha presentato la sua personale versione del cavallo di Troia e della piñata messicana, proponendo un cavallo di legno alto 7 metri che guarda un muro alto 12, inscenando in pieno deserto una protesta contro Trump (la testa del cavallo era rivolta verso Washington, il retro verso il Messico, ideale punto di ingresso negli Stati Uniti) e contro tutte le forme di segregazionismo.

“The Wall”, Burning Man 2019. Courtesy Tom Herck

“The Wall”, Burning Man 2019. Courtesy Tom Herck

Per creare un senso di appartenenza con chi era presente al festival, il cavallo era ricoperto da t-shirt indossate dagli stessi partecipanti, che erano invitati a scriverci sopra slogan e a condividere in un certo senso il loro DNA. Le magliette sono poi state rispedite in Belgio per una seconda fase del progetto. A pochi giorni dalla performance, abbiamo chiacchierato con l’artista a proposito del significato di “The Wall” e di cosa rappresenta l’esperienza di Burning Man per la sua carriera.

BoBos: Burning Man è da tempo un appuntamento iconico per diversi aspetti. Puoi dirci come si è creata l’opportunità di partecipare al festival?

T. H.: Tredici anni fa ho visto “Uchronia” di Kriekels e Quinze alla TV nazionale e da allora partecipare a Burning Man è stato un pensiero fisso per me. Con l’esperienza di alcune grandi installazioni alle spalle, ho iniziato finanziando questo progetto di persona e, a poco a poco, il team di sette collaboratori è cresciuto in modo organico. Nessuno di loro si conosceva e hanno fatto questo salto nel vuoto con me. Creare un’opera a Burning Man significa lavorare in condizioni veramente difficili e l’esperienza ci ha messo alla prova, ma è andato tutto nel migliore dei modi.

“The Wall”, Burning Man 2019. Courtesy Tom Herck

“The Wall”, Burning Man 2019. Courtesy Tom Herck

BoBos: Il significato simbolico e politico di “The Wall” è evidente. Realizzare questo progetto ha cambiato il modo in cui guardi alla produzione artistica rispetto a tematiche sociali più ampie?

T. H.: Quasi tutti i miei progetti toccano tematiche sociali o politiche, senza rinunciare a un tocco di satira e humor nero. I lavori esposti a Burning Man non sono generalmente connotati da tematiche politiche, per cui è stata un’esperienza speciale per loro. È un setting ideale per parlare con persone provenienti da tutto il mondo e sentire la loro opinione su quello che sta succedendo negli Stati Uniti, al di là di quello che dicono i media. Ho avuto conversazioni veramente stimolanti con molti partecipanti mentre raccoglievo le loro t-shirt. Al di là di Democratici e Repubblicani, le persone vogliono un mondo migliore. L’opera è incentrata sul concetto di unione, non c’è un messaggio nascosto e credo che la gente l’abbia apprezzato. Questo aspetto dei muri che cadono simbolicamente si ricollega ad una mia opera precedente (“The Decline”, 2016), in cui a collassare era un castello di carte del peso di 60 tonnellate. Mi sembra sia un tema ricorrente nel corso della Storia.

“The Wall”, Burning Man 2019. Courtesy Tom Herck

“The Wall”, Burning Man 2019. Courtesy Tom Herck

BoBos: Hai dato prova di essere un artista eclettico, partendo dalla scena della street art belga e finendo per partecipare ad uno degli eventi più riconoscibili del pianeta. Immaginavi una traiettoria del genere per la tua carriera?

T. H.: Mi sono dato degli obiettivi molto impegnativi. Ho grandi ambizioni. Col tempo ho notato che più i progetti sono difficili e più esco dalla mia comfort zone, più riesco a ottenere i risultati che mi prefiggo. Questo mi dà grande soddisfazione. Sint-Truiden è una piccola città e sono cresciuto in un quartiere che offriva meno possibilità della media dei ragazzi belgi. L’aspetto positivo di questa situazione è che mi ha fatto crescere più “affamato” delle persone normali. In queste condizioni, se hai un sogno e vuoi realizzarlo devi lavorare duramente e ciò ti costringe ad allenare la tua mente fin da giovane. In passato, quello che ho fatto nell’ambito del graffitismo è stato il mio sogno fin da piccolo. Ma se dici a qualcuno che il tuo sogno è dipingere nella metropolitana di New York, ti diranno “è impossibile”, perché hanno una mentalità diversa.

“The Wall”, Burning Man 2019. Courtesy Tom Herck

“The Wall”, Burning Man 2019. Courtesy Tom Herck

BoBos: In questo senso, ti aiuta essere uno dei giovani protagonisti dell’arte contemporanea del Belgio?

T. H.: Tendo a concentrarmi su me stesso e non ho un’opinione precisa sulla scena artistica del mio Paese. Non sono un fan di istituzioni artistiche dalla tipica mentalità belga, se questo significa giocare sul sicuro quasi sempre. Il Belgio è piccolo ma ha una lunga storia nell’ambito dell’arte. Inoltre, ci sono molti giovani artisti che stanno creando dei progetti interessanti e la Biennale del Belgio a Ghent, a cui ho preso parte, lo dimostra. Ho piani piuttosto ambiziosi per quanto riguarda la scena internazionale e sento che questa è la mia strada. Mi piace impegnarmi in obiettivi che sembrano impossibili, ma sta a me, e solo a me, far sì che si realizzino.

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