Inaugura la 57.ma Biennale d’arte di Venezia

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Quale altra città è più adatta per ospitare un grande spettacolo internazionale come quello della Biennale d’arte, se non Venezia? Salotto del mondo o vetrina per allodole, la città lagunare resta sempre il pied-à-terre preferito di istituzioni o privati per creare la giusta atmosfera per affascinare il pubblico, anche il più distratto, in un impatto scenico e avvolgente.

Giorgio Andreotta Calò

 

L’aria frizzantina e un timido sole primaverile hanno accolto i milioni di persone tra artisti, galleristi, giornalisti e appassionati, che si sono sparpagliati tra calli, palazzi e giardini, a sperimentare il lungo percorso espositivo dal titolo ‘Viva Arte Viva’.

La Biennale del 2017 è a cura della francese Christine Macel, che dal 2000 è capo curatore presso il Musée d’art moderne del Centro Pompidou di Parigi, dove vi ha istituito il reparto d’arte contemporanea. Il suo lavoro per Venezia è offrire “un viaggio dall’interno verso l’infinito” attraverso una serie di trans-padiglioni interconnessi e che si sviluppano su nove capitoli, con 120 artisti partecipanti provenienti da 51 paesi.

 

Roberto Cuoghi

Criticatissimo e al tempo stesso acclamato, il Padiglione Italia all’Arsenale a cura di Cecilia Alemani è rappresentato dalle installazioni di soli tre artisti: Roberto Cuoghi, Adelita Husni-Bey e Giorgio Andreotta Calò.

Non trovo che definire il concetto di italianità sia compito del nostro Padiglione. Sono più una facilitatrice che un autore. Una buona mostra è quella che sa rapportarsi a pubblici diversi: al gallerista come al turista dell’Iowa. Un’opera deve prestarsi a più letture e non fornire un messaggio unico.

Non esiste l’arte italiana, esistono gli artisti.

Spiega la curatrice che dal 2011 è direttrice del programma di arte pubblica dell’High Line Art di New York.

‘Il mondo magico’, così è stata intitolata la mostra del Padiglione, gioca sull’assenza di luce, donando una sottile complicità visiva con lo spettatore. Si passa dalla penobra al buio più totale per vivere una percezione molto intima ed invitante, ma al tempo stesso di tensione ed inquietudine con l’opera d’arte stessa.

Il titolo della mostra è un omaggio all’omonimo libro dell’antropologo Ernesto de Martino. Una riflessione sul tentativo dell’individuo di padroneggiare una condizione storica incerta verso una riaffermazione della propria presenza nel mondo. E l’artista come guida o interprete di nuovi mondi possibili.

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