Lo stato del mondo dell’automobilismo in Italia

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Qualche giorno fa una notizia inaspettata, non del tutto a dire il vero, ha catturato la mia attenzione e non in senso positivo. Quest’anno l’attivitá sportiva dell’Autodromo Nazionale di Monza è pressoché ridotta a zero, eccezion fatta per la Formula 1.

Detta così non sembra una gran cosa ma porta inevitabilmente a fare un pensiero sullo stato del mondo dell’automobile in Italia. Partendo dal presupposto che stiamo attraversando una crisi economica dura e persistente, la vediamo e tocchiamo ogni giorno, quello che emerge è la mancanza di lungimiranza di chi è preposto a gestire una delle eccellenze italiane.
Purtroppo questa analogia si puó drammaticamente applicare ad ogni settore produttivo del nostro paese.
Non occorre essere un Nobel per l’economia o un giornalista dalla penna dorata per rendersi conto che l’auto, partendo dalla rete di concessionari sino ai team di ogni categoria, viene vista come un bancomat per lo stato e i comuni e non come un’opportunità di sviluppo e di introiti.
Ma cosa centra la difficoltà che molte persone hanno nell’acquistare un auto con lo sport del motore, da molti visto come un passatempo per ricchi snob? Molto a dire il vero.

Innanzitutto i sacrifici. Sì perché non è tutto oro quello che luccica.
I sacrifici che compie un agente di commercio nel cambiare auto per il proprio lavoro e mantenerla (benzina, autostrade, manutenzione) sono gli stessi anche se in ambito diverso che fa un padre nell’assecondare la passione del figlio per i kart, sono gli stessi che fa chiunque voglia avvicinarsi alle gare, sono gli stessi che compie una famiglia per assistere ad un gran premio, sono gli stessi che fa un giovane per andare a girare in sicurezza in pista e non per le strade durante il weekend.
E qual é la causa di questi sacrifici? I costi esorbitanti e per quanto riguarda le attivitá sportive la gestione più politica che pratica della Commissione Sportiva Automobilistica Italiana. Ovvietá.

Burocrati interessati al mantenimento dello status quo, il loro, più che al bene e allo sviluppo di ció che sono chiamati a rappresentare. Altra triste ovvietá.
Burocrati che alzano i costi delle licenze per correre (da sempre tra le più costose d’Europa) lamentandosi poi dell’esiguo numero di iscritti alle varie competizioni nazionali, i costi di gestione dei team e la conseguente e molto spesso infruttuosa ricerca di sponsor, il sostegno pressoché assente a chi vuole organizzare un qualsiasi evento del motorsport.
È questo il “Made in Italy” che vogliamo? Io no.
Vorrei che nelle stanze dei bottoni entrasse chi ha dedicato la propria vita alla propria passione. Vorrei che la professionalità e la competenza diventino la norma e non un’estemporanea eccezione. Vorrei che cambiasse l’approccio alle cose. Nel modo in cui questo Paese si è sempre contraddistinto nella storia: con il decisionismo dei Cesari, con l’apertura mentale dei mecenati del Rinascimento, con la voglia di cambiare dei Moti Carbonari. W Verdi! W l’Italia! Sipario.

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