Adoro tutto ciò che disegna Francesca Ghermandi, grande autrice italiana di fumetti: segno morbidamente plastico, fortemente espressivo e assolutamente originale, grandi capacità tecniche di cromatismi e prospettive (un percorso da architetto, iniziato e poi abbandonato).
Rincorro i suoi disegni in ogni forma essa li concretizzi: siano albi di formato anomalo, bislacche storie di eroi/animali, avventure in mondi gommosi, illustrazioni per riviste o commenti visivi per i libri dei bambini.
Ma c’è un suo adorabile personaggio, uno su tutti, che mi ammalia con la stravagante poesia degli occhi di un bambino rimasta imprigionata nello sguardo dell’adulto.
Attraverso quello stesso sguardo io leggo Pastil (Pastille o Pasticca), anche se leggere non è l’espressione più legittima, visto che di parole non ce n’è nemmeno l’ombra (solo il titolo).
Dalla seconda di copertina: “Pastil racconta le avventure oniriche di una buffa ragazzina con la testa a forma di pastiglia che vive in un mondo fiabesco degno di Lewis Carroll, un paese delle meraviglie popolato di tronchi d’albero animati, biscotti dispettosi e corn-flakes imprevedibili…”
Questa è il solo elemento limpido delle avventure di Pastil.
La totale assenza delle parole dal fumetto dona alle immagini, alle inquadrature e al ritmo con cui si susseguono una totale e devastante potenza narrativa, immediata e coinvolgente quasi quanto un film.
E ad un film noir anni ’50 questo fumetto può assomigliare anche grazie al segno forte inciso e incisivo conferito dall’uso della grafite pura: un segno grave e nero arricchito dalle mille sfumature dei grigi.
In quelle sfumature ogni volta che rileggerete il fumetto troverete nuove probabili risoluzioni di una storia che risveglia le vostre sopite fanciullesche paure e fantasie.
Pastil si prende così: tutta d’un fiato e con gli occhi sgranati, magari prima di addormentarsi, per scivolare nella stessa dimensione onirica di cui son fatte quelle pagine.