Quello che le bambole non dicono {Beatrice Morabito: Doll’s Secret Diary}

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L’erotismo è una condizione naturale del comportamento umano,
così come / tanto quanto
ne risulta forzata la sua inibizione,
dettata da regole e codici di comportamento sociali / religiosi.
Io, personalmente, lo adoro.

La vera differenza tra l’uomo e gli animali sta nell’erotismo, vera arte della seduzione,
ma sono scettica e retriva per quel che ne riguarda la sua mera speculazione,
per questo guardo sempre con sospetto i mille musei dell’erotismo che ogni grande città turistica ha, come ad esempio Parigi.
Superato allora il mio pregiudizio mentale, mi sono concessa una visita al Musèe de l’Erotique, nel cuore di Pigalle, poco lontano dal Moulin Rouge e l’ho fatto perché proprio in questo periodo c’è la personale di Beatrice Morabito: Doll’s Secret Diary.

Italiana, fotografa autodidatta, arriva da un percorso di studi totalmente diverso, ma ha imparato ad amare l’arte dalla pancia, visitando musei sin da piccola, Beatrice Morabito considera l’arte una forma alternativa di sentimento, di conoscenza, di consapevolezza.

Nelle sue foto il tema di fondo è una forma di sessualità complessa che alcuni, in maniera semplificativa, indicherebbero col termine di fetish e che nella pratica si traduce con una serie di attenzioni particolarmente curate per gli accessori, i dettagli e le inquadrature delle sue modelle.

Il carico di originalità del suo lavoro parte proprio dalla scelta di quelle: Sybarite, Deva, Numina, Fashion Royalty, Avantguarde, questi i loro nomi e stiamo parlando di bambole, utilizzate come estensione della propria personalità, del lato nascosto, quello non svelato, rinunciando ad un esibizionismo narcistico a cui le donne talvolta si concedono.

“Le bambole le compro e poi le modifico con photoshop e con le luci (in molte foto ho cercato di nascondere le articolazioni proprio per sottolineare la confusione tra bambola/donna/bambola). Ho scelto quel tipo di bambola per le fattezze molto femminili e per la difficoltà nel metterle in posa: la maggior parte hanno articolazioni così ‘molli’ che bisogna stare molto tempo nel trovare la posa giusta e il giusto equilibrio: talora se muovi una mano si sposta tutta la bambola e allora devi ricominciare dal principio. In questo modo posso permettermi un profondo pensiero dietro ogni scatto e la proiezione del mio vissuto dentro di loro: un po’ come se ‘la mise en scene’ mi permettesse una maggior profondità.”

La cura per la messa in scena è orientale e quasi maniacale: trucchi, pettinature, accessori, luci e stampe rendono indietro, invertendolo, quel gioco -maledetto- di mercificazione del corpo femminile svuotato della propria anima e reso oggetto.

Qui l’oggetto, riempito di attenzione e significato,  si incarna di nuovo in donna fatta di carne e passione.

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