Prospettiva. È difficile giudicare il presente se non si ha la possibilità di osservarlo da angolazioni inedite. È facile, ad esempio, illudersi sulla salute della settima arte italiana, nonostante la tanto lamentata povertà economica, senza i giusti metri di paragone. Questi non sono la Francia, con 900 milioni di euro in fondi pubblici dedicati annualmente al cinema. O la Gran Bretagna, il cui buon gusto e senso dell’equilibrio superano, proverbialmente, ogni ostacolo di budget. Spagna? Germania? Vorremmo. La verità è che siamo esclusi dalla nuova alleanza che inizia a Los Angeles e passa da Londra, Parigi, Madrid, per terminare a Berlino. L’Europa rifiorisce e noi appassiamo.
Eppure questa lezione amara non è sufficiente a insegnarci l’umiltà. Proseguiamo come nulla fosse, con i 60 milioni incassati da Checco Zalone accolti come un miracolo e non come il sintomo di una malattia che va oltre il cinema, o l’arte in genere. Nel regno dei ciechi l’orbo è Re.
Allora guardiamo all’Africa, anzi, alle Afriche, il grande continente che da noi guadagna i titoli dei giornali solo quando affondano barconi di esuli o scoppiano guerre. Pensiamo al loro cinema.
Da nove anni ho la fortuna di seguire il Festival di Cinema Africano di Verona, un kermesse illuminante. Occasione rarissima di assistere, in tempo reale, alla nascita e alla crescita, esponenziale, di nuove cinematografie. Soldi non ne hanno: fanno film con materiali che qui non basterebbero per lo spot di una concessionaria di auto usate. Di edizione in edizione, però, vedo film straordinari, che trasudano passione, impegno a massimizzare i risultati, serietà, idee.
Quest’anno ha vinto un lungometraggio prodotto e girato nell’isola di Mauritius. Uno stato a cavallo tra Africa e India la cui intera cinematografia autoctona conta solo due progetti. La pellicola s’intitola Les Enfants de Troumaron ed è di una bellezza e di un’intensità strazianti. Tratto dal romanzo di Ananda Devi, Eve de ses Décombres, il film è diretto dal marito della scrittrice: Harrikrisna Anenden.
Racconta pochi giorni nella vita di alcuni giovani abitanti di un quartiere povero di Port Louis. Al centro la figura di Eve, minorenne che vende il proprio corpo ed agogna a una fuga impossibile.
La interpreta una debuttante: la modella mauriziana Kitty Phillips, 29 anni, la cui spontaneità è travolgente. Kitty non sa se le sarà concesso di essere protagonista di un altro film. L’abbiamo contattata per un intervista, nella quale ci ha parlato della sua vita e delle sue aspirazioni. Ci ha regalato della “prospettiva” e di questi le siamo grati.
Sono nata a Mauritius e cresciuta in una famiglia che non mi ha fatto mancare l’amore. Mio padre è impiegato in banca e a mia madre devo i geni “artistici”. Ho una sorella più giovane alla quale sono incredibilmente legata. Ho frequentato una scuola cristiana fino al diploma.
Come ti sei avvicinata al lavoro di modella?
Quando ero bambina andavo spesso a vedere mia madre che lavorava come modella e, come tutte le figlie, aspiravo a essere come lei. Le scuole cattoliche, a Mauritius, organizzano spesso fiere per raccogliere fondi da distribuire in carità. Tutti abbiamo avuto l’occasione di contribuire alla creazione di piccole sfilate, “camere dell’orrore”, ed altri divertimenti. Ogni anno io partecipavo al fashion show e quando ha aperto la prima agenzia di modelle sono stata reclutata alla fiera organizzata dal mio istituto. All’epoca c’era poco lavoro, era una cosa del tutto nuova.
Non posso dire che fosse una professione. Era più che altro una passione che mi faceva guadagnare abbastanza per andare a fare shopping con le amiche senza infastidire i genitori per soldi extra. Avevo sedici anni ed ero orgogliosa di poter mettere sotto l’albero i regali che io stessa avevo comprato per la famiglia. Aspiravo a qualcosa di più di un ingaggio ogni tre mesi: la passerella o i set fotografici erano una vera droga. La mancanza di opportunità reali poteva diventare assai frustrante.
Decisi così di andare a Londra e lì passai i miei migliori anni da modella. Quanto mi sono divertita e quanto ho imparato! Certo: era difficile competere con le altre ragazze, visto che ero considerata una modella “etnica”. Per gli asiatici ero ispanica, per gli europei ero asiatica… non avevo il tipico london look. Una volta mi presentai a un casting in una città lontana, che non conoscevo e mi liquidarono in tre secondi, guardandomi malissimo. Un’esperienza dura per l’autostima ma non sono una che si lascia abbattere. Mi piace pensare di chiamarmi Kitty per la mia abilità di cadere sempre sulle zampe ed ho abbastanza senso dell’umorismo da trasformare le situazioni più orribili in esperienze che arricchiscono.
Quando eri a Londra hai aperto un blog nel quale hai descritto giorno per giorno la tua esperienza.
«Strano che se ne parli ancora: iniziai per divertimento ma ancora c’è qualcuno che lo trova e lo legge. Ho amato molto quella città: trasuda arte, creatività e libertà di pensiero. Mauritius è un mix di religioni ma Londra è un mix di culture e nazionalità. È molto caro viaggiare per allontanarsi da Mauritius e la possibilità di conoscere Londra è stata veramente eccitante».
A Mauritius esiste una modelling industry?
Oggi sì: la nuova generazione di modelle è molto più fortunata. L’intero business sta fiorendo. Mio marito è hotel manager e ogni venerdì, nel suo albergo si tengono eventi di moda. Designer, truccatori, fotografi e modelle s’incontrano e pianificano il futuro. Mia cugina vive facendo la modella… chi l’avrebbe mai pensato! C’è ancora tanto da fare ma i progressi, negli ultimi tredici anni, sono stati molto incoraggianti.
Prima di Les Enfants de Troumaron avevi mai pensato di recitare?
Quando avevo ventiquattro anni in città ha aperto la prima scuola di recitazione. Sono stata uno dei cinque idioti che si si sono iscritti. Quando sono tornata da Londra la scuola non esisteva più… ed io avevo già pagato la retta.
Partecipare al film è successo per caso: l’amica di un amico mi ha detto che ci sarebbe stato il casting. La mattina dopo ho trovato il biglietto che mi aveva scritto nella borsa, mentre cercavo il cellulare. Era già tardi e la sera prima avevo bevuto troppa tequila ma visto che si teneva a cinque minuti da casa mia ci sono andata. Il regista, appena mi ha vista, mi ha chiesto di leggere la sceneggiatura e tornare. Appena l’ho aperta ho capito perché: fisicamente sono identica a Eve! Lo script mi ha letteralmente sedotta.
Quando ho ottenuto il ruolo sono andata a comprarmi il libro, che oggi conosco a memoria. Mi ha aiutato tanto a capire i personaggi e l’ambientazione, più della sceneggiatura. Ananda Devi è una grande scrittrice.
Come ti sei preparata al ruolo?
Non sono mai andata a scuola di recitazione ed ho ottenuto la parte per caso. Ma non sono mai stata timida né paurosa. Leggendo il libro, osservando il quartiere, stando sul set, vedendo le vere Eve nel luogo delle riprese, ascoltando rumore bianco sull’iPod al posto di farmi distrarre dal caos della vita fuori dal set: ecco come mi sono, ingenuamente, preparata. Chi mi conosce era stupito dal ruolo che ho accettato: sono una donna felice, cresciuta nell’agio, con una famiglia amorevole. L’esatto contrario di Eve.
Ananda mi ha aiutato molto, rispondendo a tutte le mie domande sul personaggio. Lo stesso vale per la troupe, che ha rispettato il mio bisogno di estraniarmi. Prima di girare mi mettevo i tappi nelle orecchi e mi concentravo fino ad andare quasi in trance. I colleghi, durante le riprese, mi hanno detto che nel sonno piangevo e urlavo: per due mesi non sono tornata a casa per paura di distrarmi. Non avendo preparazione tecnica l’unica scelta era sposare il personaggio.
Il momento più intenso sul set?
L’ultimo giorno, quando abbiamo girato la scena in cui Eve si fa rasare a zero dalla madre. Ero preparata ma molto ansiosa. Si poteva fare una volta sola e doveva essere perfetta, volevo che fosse perfetta! Non so cosa sia successo, dove sia andata Kitty in quei minuti. Quando ho sentito il ciak mi sono guardata attorno ed erano tutti in lacrime, anche Ananda che mi è venuta accanto e mi ha stretto le mani. Ero esausta, sono andata in macchina e ho dormito per due ore.
Il film presenta un lato di Mauritius che viene tenuto nascosto ai turisti. Qual’è la realtà della tua madrepatria?
La perfezione non esiste. Abbiamo gli hotel a cinque stelle e le spiagge, abbiamo anche i senzatetto e le prostitute. Ditemi il nome di una nazione in cui non c’è povertà… Mauritius non è una cartolina. Avevo paura di come gli abitanti locali avrebbero preso il film ma invece lo hanno accolto con entusiasmo.
Hai viaggiato per la promozione del film?
Purtroppo no. Mi era stato offerto di andare a un festival ma essendo incinta di sette mesi non potevo fare i vaccini. Se Canne mi dovesse chiamare, però, ho già il vestito pronto!
Esiste un industria cinematografica a Mauritius?
Ci sono gli artisti ma non i finanziatori. Speriamo che il nostro film possa incoraggiare qualche scettico.
Piani per il futuro?
Chissà… ora sono occupata a fare la mamma di un bimbo di sei mesi che è un concentrato di gioia. Se la domanda è: “vorresti recitare ancora?”, la risposta è sì. Sarebbe triste se Le Enfants si rivelasse la mia sola opportunità. Dubito però che l’industria del cinema mi venga a cercare quaggiù. Chi lo sa… sembra che io sia nata sotto una buona stella e continuo a sperare. Non vedo l’ora di avere tra le mani un’altra sceneggiatura!