Wish I Was Here: il mondo malinconico di Zach Braff

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È uno di quei trailer che fanno venire voglia di cinema: Wish I Was Here, di e con Zach Braff, ha finalmente delle immagini da mostrare e non deludono.

Senza dubbio si tratta di una delle pellicole indie più attese della stagione. Per diverse ragioni. Innanzitutto il primo film da regista di Braff: Garden State, è diventato un fenomeno di culto. Da allora, però, sono passati dieci anni.

Poi c’è la colonna sonora scritta dal gruppo The Shins, che proprio grazie a quella pellicola ha trovato fama mondiale. Qui torneranno con diverse canzoni originali. Da valutare anche l’appeal del regista-attore-sceneggiatore: a quattro anni dalla fine di Scrubs deve ancora trovare un suo spazio a Hollywood (a Broadway, invece, va alla grande con Pallottole su Broadway, dall’omonimo film di Woody Allen).

Il film, dal titolo dal richiamo pinkfloydiano, vedrà il trentanovenne del New Jersey nel ruolo di un attore squattrinato che decide di educare a casa i due figli dopo che la malattia del nonno, che pagava gli studi, ha iniziato a consumare i fondi di famiglia.
Un cast notevole: Mandy Patinkin è il nonno ospedalizzato; Kate Hudson è la moglie del protagonista; Ashley Greene è un’amica impegnata nel cosplay (gioco di ruolo in costume), idea che serve a introdurre alcune sequenze fantascientifiche ed allegoriche che si vedono già nel trailer. Jim Parsons, lo straordinario, pluripremiato protagonista di The Big Bang Theory, avrà un ruolo di sostanza, ancora non chiaro.

La pellicola è stata finanziata tramite Kickstarter ed è costata tre milioni di dollari. Miracoli di questa piattaforma, che sta rivoluzionando, in tutto il mondo tranne che in Italia (grazie alla burocrazia fiscale ed ai nostri proverbiali ritardi culturali), il modo di avvicinarsi alle “piccole” produzioni.
In una lettera scritta al New York Times in occasione del suo debutto a Broadway, Braff scrive: «Ero un bambino triste. Sempre preoccupato, ansioso. Se a questo aggiungiamo il divorzio dei miei genitori …». Forse è da lì che nasce quell’avvolgente malinconia che ha fatto la fortuna di Garden State e, speriamo, farà quella di Wish I was Here.

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