Memo: FROM STREET TO ART

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Inaugura tra poche ore negli Stati Uniti “FROM STREET TO ART”, la prima panoramica sull’arte urbana italiana, a cura di Simone Pallotta, che sarà ospitata dall’Istituto Italiano di Cultura di New York, 686 Park Avenue, 10065 New York City dal 20 Giugno fino al 20 Agosto 2014.
UN vanto per il nostro paese e non solo, perché l’Italia, quando vuole, é capace di esportare qualcosa di diverso dalla solita arte fine a se stessa, quella decisa e vincolata dai soliti curatori.

“FROM STREET TO ART” presenta per la prima volta i nomi che hanno determinato la scena street in Italia durante gli ultimi dieci anni mostrandone il lavoro e il percorso creativo, autoriale e personale, indagando così su una generazione di artisti che sta cominciando ora a scrivere il futuro dell’arte in Italia e dell’arte italiana nel mondo. Lasciamo volentieri la parola al curatore della mostra che attraverso una lettera racchiude perfettamente il valore ed il senso di questo evento:

C’è stato un tempo in cui l’arte non era importante. Un periodo storico in cui spinti da un istinto che nulla aveva di ancestrale, adolescenti di luoghi diversi si trovarono connessi in un atto di affermazione dell’Io più profondo. Stavano affrontando inconsciamente la realtà dell’essere generazione non sedotta da ideologie, corrotta e irreparabilmente svuotata dall’inconsistenza e dal silenzio che queste avevano prodotto. Una generazione senza eco.

La chiave di lettura di un tempo senza senso si è però materializzata nella riconquista di un’identità autogenerata, di un modello creativo autonomo in grado di sensibilizzare quel vuoto, di renderlo consistente, vincendo la scommessa di costruire qualcosa di buono e potente dal nulla che c’era sotto i loro piedi, nessuna spalla di gigante a sostenere il loro sguardo verso il futuro.

C’è stato un tempo in cui i graffiti, produzione di lettere che formano un nome che riflette una individualità reale, hanno ricostruito l’identità perduta grazie ad un atto personale. In una sorta di rifondazione interiore si sceglieva un nuovo nome per riposizionarsi nella società in base ad un’autonoma invenzione di un Se autoprodotto; punto di partenza per una nuova ideologia che aiutava a rifondare l’interpretazione del mondo stesso attraverso il valore della propria singolarità. Un atto libero e puro che ha cambiato il destino dell’arte, senza saperlo e senza volerlo.

E’ dando forma alla nostra singolarità che si produce arte, senza sapere di produrla, senza calcolare come quello che stiamo realizzando cambierà i canoni visivi così profondamente da produrre una rivoluzione estetica. I graffiti sono stati l’anno zero di una volontà automatica produttrice di situazioni generative, occasioni di espressione primaria, di un ritorno alla creazione come necessità.

Arriviamo ad oggi, qui e ora. Dall’istinto espressivo primordiale dei graffiti, privi di necessità e volontà artistica ma ricchi di espressività interiore, siamo giunti ad una generazione che crede nei suoi mezzi perché ha voluto e ha saputo attraversare nuovamente tutti gli stadi del pensiero creativo. Siamo di fronte a uomini che hanno razionalizzato l’urgenza espressiva delle origini a favore di una propria visione dell’arte, fino a concretizzare la loro posizione che pretende di essere unica e profondamente autoriale. Siamo di fronte ad artisti che devono essere chiamati tali perché non c’è più bisogno del contesto di partenza per connotarli, non c’è più solamente la strada ad accoglierli ma il mondo intero.

Nessuno parli di street art ma di artisti che amano la strada, luogo di nuove e più profonde emozioni.

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