Jules Bianchi, il giorno dopo

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E’ passata ormai più di una settimana dall’incidente di Jules Bianchi a Suzuka.

Una settimana in cui si è scritto di tutto, sviscerando ogni frame delle immagini disponibili alla ricerca di un perché. Ogni incidente in pista e non solo ha una causa scatenante, ma non è di questo che voglio parlare.
Vedere una monoposto infilarsi sotto un mezzo di soccorso è stato oltre che brutto anche decisamente strano.
Il regolamento di gara, che tutti i piloti conoscono a memoria, fornisce le direttive per gestire senza possibilità di fraintendimenti ogni situazione pericolosa e non. Ogni pilota sa fin dalle categorie più piccole che in presenza di una bandiera gialla “l’andatura deve essere ridotta e prestare attenzione” e come nel caso dell’uscita di Bianchi in presenza della doppia bandiera gialla “l’andatura deve essere ridotta tanto da consentire di fermarsi in caso di necessità“. Soprattutto in caso di pioggia. Suzuka è un impianto che da moltissimi anni ormai ospita competizioni di ogni tipo, dalla F1 alla 8 ore motociclistica.

Impianto e addetti abituati a gestire situazioni di pericolo più’ disparate, il tutto sotto l’occhio attento e la discrezionalità del direttore di gara. Lo stesso per ogni gran premio. Ma non è di questo che voglio parlare.
Chiunque sia pratico del motorsport in generale sa, oltre al significato delle bandiere, che un pilota difficilmente alza del tutto il piede anche in presenza di rischi. Perché è un pilota, perché è nella sua natura.
Le eventuali responsabilità verranno accertate nelle sedi preposte, anche se quando si parla di F1 le verità non sono mai del tutto vere.
Quello di cui voglio parlare sono i commenti e i processi del giorno dopo.
Quando su una pista accade un avvenimento tragico fin troppi si sentono in grado anche se non esperti dell’argomento o, peggio ancora, per “diritto d’informazione” di trattare l’argomento in modo fastidioso. Da giornalismo mediocre.
Sì, giornalismo mediocre. Sarò ingenuo ma credo fermamente che si debba parlare, sui mezzi di informazione come nella vita di tutti i giorni, solo di cose che si conoscono. E questo molte volte non succede. Est modus in rebus, c’è un modo giusto per ogni cosa, dicevano gli antichi. Di certo non mi arrogo il diritto di dire che la mia visione è quella giusta. Quello che mi arrogo il diritto di dire è che confezionare servizi strappalacrime è più simile al pettegolezzo che alla ricostruzione di un accadimento. Mi arrogo il diritto di dire che l’uso spropositato di parole come “eroe”, “incosciente”, “spericolato” denota la totale ignoranza in materia di chi le adopera con tanta enfasi. La cronaca di un incidente di gara, sia chiaro, non deve essere ad uso esclusivo della nicchia di appassionati e competenti ma di tutti.

Credibilità e correttezza. Per rispetto. Per rispetto di un ragazzo di 24 anni, riuscito a trasformare la propria passione in un lavoro. Rispetto per un pilota lontano dagli ingaggi faraonici che la maggior parte della gente considera normale in F1.
Motorsport is dangerous. Punto.

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