Quando l’astratto diventa pop

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Quando si passa per Bilbao ci sono due tappe obbligatorie alle quali non si può assolutamente rinunciare. Non si può lasciare la più grande città del País Vasco senza fermarsi al Globo per assaggiare il loro incredibile pintxo di Txangurro, una sorta di bruschetta ricoperta di mousse al granchio, dalla bontà indescrivibile. E non si può lasciare senza aver visitato il meraviglioso Museo Guggenheim Bilbao, il grandioso edificio in titanio progettato dall’architetto canadese Frank Gehry che dal 1997 lascia a bocca aperta turisti e appassionati di arte provenienti da tutto il mondo.

L’aspettativa non viene delusa dopo aver varcato l’ingresso: ad accogliere ogni visitatore si dispiegano 11.000 m2 di spazi espositivi, un’alternanza sinuosa e spettacolare di volumi, di curve, griglie e luci che si diramano per lasciare spazio alle più incredibili installazioni di arte contemporanea.

Il Museo Guggenheim Bilbao ha una programmazione artistica fitta e varia, per questo è ancora più interessante tornare a visitarlo ogni volta che si viaggia nel nord della Spagna. E se mentre si è di passaggio si scopre che è in corso una mostra dedicata a Andy Warhol, la certezza è che non possa che trattarsi di qualcosa di speciale.

 

Museo Guggenheim Bilbao

 

Entrando al Museo Guggenheim Bilbao fino al 2 ottobre dobbiamo dimenticarci infatti quasi tutto quello che ci viene in mente quando pensiamo a uno degli artisti più noti del XX secolo. Dimentichiamoci di Marylin, della Coca Cola, di Mao, della Campbell’s Soup. E soffermiamoci soltanto su un particolare, su uno dei segni distintivi dello stile di Warhol che accomuna nelle sue opere tutti i soggetti citati: la ripetizione. Quel replicare ogni figura con colori forti e alternati, quel riprodurre in maniera continua ed estenuante che porta quasi a svuotare di significato le immagini della cultura popolare americana degli anni Cinquanta e Sessanta che tutti noi abbiamo imparato a conoscere e amare. Che cosa accadrebbe però se la ripetizione non mostrasse un’immagine pop nota a tutti, se ribaltasse i suoi intenti mostrando al contrario un qualcosa di astratto?

 

Warhol - Shadows - Bill Jacobson

 

Una domanda cui il genio della pop art trova risposta nel 1978, a 50 anni, quando la sua indagine sull’astratto si concretizza in un’opera d’arte monumentale: 102 serigrafie su tela, dove a ripetersi, questa volta, sono grandi ombre indefinite. È così che si presenta “Shadows” agli occhi degli spettatori: imponenti tele appese alle pareti una accanto all’altra che occupano tutto il perimetro di un’enorme sala del museo, in un’impressionante e avvolgente distesa di colori e ombre. È difficile fissare lo sguardo a lungo su un dettaglio in particolare: ci si perde nell’ammirare le differenze tra le varie ombre, il loro presentarsi in alternanza tra positivo e negativo, i colori sgargianti applicati su ogni tela che ricreano diverse gestualità pittoriche. Ogni ombra spinge il nostro occhio alla ricerca di un bagliore di luce, ogni ombra invita il nostro sguardo a perdersi nella successiva, quasi come a voler trovare quel significato che nelle più celebri opere di Warhol siamo così abituati a conoscere e, allo stesso tempo, a dimenticare. Un’opera da osservare da lontano e da vicino, concentrandosi sulla singola tela e concentrandosi sulla visione di insieme che è davanti a noi, e che allo stesso tempo è impossibile cogliere nella sua totalità. Una rappresentazione che, grazie al genio di Andy Warhol, riesce a rendere pop perfino l’astratto.

 

Warhol-Shadows-2-Bill Jacobson

 

 

 

 

 

 

Warhol_Shadows_3 - Bill Jacobson

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