Anche senza manuali.

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Ho 15 anni quando arriva “La mia prima volta”.

Sono goffa, leggermente sgraziata e sovrappeso. A guardarmi con gli occhi di oggi non sono il disastro che credevo di essere ma al tempo mi sentivo una tragedia. Miracolosamente, sempre rispetto alla testa di allora, sono riuscita a trovare un fidanzato. Uno che considero un figo, un giusto, molto più grande di me. Sono innamorata, adorante oserei dire, e proprio per questo non voglio semplicemente che la mia prima volta sia perfetta, io devo essere perfetta, ma soprattutto all’altezza della situazione.

Lui ha la nomea del tombeur de femmes, per non dire dello scopatore, e la cosa mi mette davvero sotto pressione.

Essendo una secchiona di base, l’istinto è subito quello di cercare una soluzione pratica “al problema” e vado in libreria alla ricerca di qualcosa che mi possa aiutare a superare quella che oramai vivo come una prova esistenziale: “se va male questa, andrà male per sempre” una vocina mi si ripete nella testa.

Sì, ho -come qualunque adolescente- la tendenza a drammatizzare.

Le mie coetanee hanno più o meno la mia stessa esperienza, praticamente nulla, e non le considero sufficientemente esperte per potermi illuminare sul grande mistero che per me il sesso rappresenta.

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(Se non hai una trentina d’anni Vedi Google: Sfingi + Atreiu )

Insomma, la prima volta non è solo un atto romantico.

Ai quei tempi, nascosta in una viuzza del centro della mia città, c’è una piccola libreria quasi sempre vuota. Io e le mie amiche la chiamiamo “Libreria Esoterica” perché nella sua selezione di libri si trova tutto quello che vuoi in merito a magia, angeli e incantesimi. Siamo diventate clienti fedeli a 13 anni dopo aver deciso di diventare Wikka e di darci alle sedute spiritiche (ma questa è un’altra storia). Tra cartomanzia, lettura della mano e saggi sul satanismo c’è però uno scaffale speciale, uno scaffale verso cui tutte siamo attratte, senza volerlo ammettere. Forse quello scaffale è parte del motivo per cui veniamo qui anche se non lo vogliamo ammettere. Uno scaffale a cui non abbiamo quasi mai il coraggio di avvicinarci a meno che il proprietario, un hippie mancato con una lunga coda di capelli grigi, non sia intento in una delle sue letture.

È lo scaffale del SESSO.

Per quanto vogliamo dichiararci esperte, e soprattutto a nostro agio tra di noi, la vergogna in realtà ha sempre la meglio. Soprattutto su di me.

Quel giorno, entro nel negozio con aria disinvolta, saluto il proprietario immerso -fortunatamente- in una delle sue appassionate letture e comincio a gironzolare con aria disinteressata, com’era già capitato più volte in precedenza. Distraggo il proprietario chiedendogli di trovarmi un libro di Italo Calvino. Lui lento e molle si dirige nel retro bottega dove tiene qualcosa di letteratura italiana. Mi assicuro che non ci siano altri occhi indiscreti e mi avvicino al famigerato scaffale. Ho poco tempo e mi rendo conto che fino a quel momento non mi sono posta un altro problema: “Ok, lo scelgo e poi? Con che coraggio vado a pagarlo?” E qui faccio una cosa che non ho mai fatto. Scelto un libro dal titolo inequivocabile, lo sfoglio veloce, do un’altra occhiata che il proprietario non ci sia e lo infilo in borsa. Per placare il mio senso di colpa e assicurarmi che mr Figlio dei fiori non sospetti nulla ne prendo anche un altro: “Preghiere degli Angeli” (che ha ancora oggi la mia migliore amica nella sua libreria) e vado a pagare. Il libro rubato pulsa come vivo nella mia borsa ma la vergogna di mostrare quello che davvero voglio comprare è insuperabile. 

Mentre il proprietario si gira verso la cassa, mi diventa improvvisamente chiara l’impossibilità di ritornare in libreria con serenità.”Costa solo 13 euro” mi dico. Di fronte a me c’è un piccolo barattolo, sulla latta, incollato con lo scotch, la sagoma ritagliata del viso magro di un bambino africano. Mi fissa con gli occhi pieni di tristezza e alienati dalla fame, immancabile la consueta mosca “Offerte per il Ruanda”. Sfilo più veloce possibile i 13 euro dal portafoglio per inserirli velocemente nella fessura. “No, Di Italo Calvino non abbiamo nulla, mi spiace” Non ha visto nulla, è tranquillo. Pago l’altro libro e scappo dalla libreria con passo veloce, troppo veloce. Il passo di chi ha chiaramente fatto qualcosa di sbagliato e orrendo.

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Lasciare quell’offerta placa solo sul momento il senso di colpa e alla fine non torno lì per mesi.

Oggi mi consolo pensando che alla fine quei soldi il proprietario se li tenesse.

Quell’angoscia comunque è stata ripagata in fondo perché quel libro, negli anni a seguire, diventa una specie di Bibbia.

Passa di mano in mano con il solo obbligo del silenzio. 

(“Fallo Felice” altro non è che un manuale di tutte le tecniche amatorie possibile. Il corrispettivo meno scenografico delle vHs porno per i nostri amichetti maschi di allora.)

Alcune settimane fa quel libro l’ho ritrovato in un vecchio scatolone -dopo l’ennesimo trasloco- e mi ha strappato un sorriso.

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Scritto con un linguaggio ironico, ridicolo direi oggi (grazie anche a delle illustrazioni esplicative meravigliose), “Fallo Felice” insegna tecniche e metodi “per far impazzire lui e non perderti nulla tu”: Parola di Linda Lou Paget. “Fallo Felice, ma sii felice anche tu” Il concetto che l’autrice promuove sentendosi molto progressista. (Sono passati anche 15 anni)

Il libro chiaramente non servì a nulla per la mia prima volta e come quella di -quasi- tutte, anche la mia è stata semplicemente strana. Scambiarci quel manuale però, parlare più apertamente tra noi di “porcate” e  cose “sporche”, fu invece una vera liberazione. Confrontarci era bellissimo -oltre che utile- e noi non eravamo mai state così pronte a farlo. La curiosità era cosa di tutte, l’esperienza qualcosa che tutte stavamo iniziando a fare.

È bastato un libro a sbloccare e fomentare il dibattito. Grazie a “Fallo Felice” ci sentimmo tutte meno sole nelle nostre insicurezze -ma soprattutto- meno giudicate. E poi, ridevamo tantissimo con le stronzate che ci sono scritte dentro.

Tra i soliti consigli che si possono trovare in qualunque manuale sul sesso, ma a 15 anni sembrano incredibili verità, “Fallo Felice” devo ammettere regala delle originalità. Nel capitolo 10 per esempio,”Perline e altri gingilli appassionanti” rimane insuperabile “lo stile Chanel”, una délicattesse senza eguali.

Quello che noi amiche abbiamo sicuramente imparato da questo libro (oltre che muovere di continuo la lingua è fondamentale, sempre e comunque) è che per parlare bene di sesso serve ironia. Molta auto-ironia, spesso.

Detto questo non vi sto consigliando di comprare la Paget, vi invito però a parlare di sesso (e di farlo naturalmente se siete fortunate) più spesso e senza il peso della vergogna.

Perché comunicare ci aiuta, alla fine, a godere di più.

Anche senza manuali.

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