Di recente, a Roma, a Palazzo Altemps è stata presentata la decima edizione di ASVOFF (A Shaded View on Fashion Film), del quale una decina di giorni prima si era celebrato l’anniversario a Parigi, con Rossy de Palma e Jean-Paul Gaultier nelle vesti di presidenti della giuria. Alla fine di questo articolo chi è appassionato troverà l’elenco dei vincitori, i cui video sono rintracciabili online.
Diane Pernet in un ritratto di Ruven Afanador
Ora, invece, vorrei focalizzarmi su Diane Pernet, la fondatrice di ASVOFF, perché ho avuto il piacere di intervistarla in esclusiva. Fashion icon planetaria, eternamente vestita in nero con una mise iperfemminile e celata dietro ai suoi occhiali da sole (“shades”, per l’appunto, in inglese), di lei ci si può chiedere che cosa non abbia ancora fatto nell’ambito del fashion system. Fashion designer negli anni Ottanta, giornalista di moda per testate del calibro di Elle e Vogue, apparsa in film come Prêt-à–porter di Robert Altman e La Nona Porta di Roman Polanski, fondatrice del blog ASVOF e fashion influencer già a partire dal 2005, ideatrice del primo fashion film festival internazionale (Fashion Film Festival Milano e gli altri sono venuti dopo), fotografa, filmmaker, costumista cinematografica, curatrice di mostre e perfino talent scout. Insomma, un talento davvero versatile. Non a caso, nel 2008 la sua fama è stata consacrata dal Metropolitan Museum di New York, dove il suo blog è stato riconosciuto come uno dei 3 più influenti al mondo. Nonostante ciò, senza formalismi né arie da diva, ha accettato di rispondere alle mie domande con rara gentilezza.
– Quando ha realizzato che il suo futuro sarebbe stato indissolubilmente legato alla moda?
<< Mi sono innamorata sia del cinema che della moda molto presto. Queste due passioni, però, hanno prevalso sul fashion design, così sono diventata fotografa e film maker. Avevo frequentato corsi sia alla Parson School of Design che al FIT, contemporaneamente. Vivevo a New York, allora. Dopo nove mesi ho capito che, se avessi continuato la scuola più a lungo, avrei perso ogni interesse per il design. Così, ho iniziato a disegnare i miei modelli e ho pensato che, quando mi sarei sentita pronta per lanciare la mia collezione, l’avrei fatto. Devo dire che non ho mai fatto un’esperienza formativa come intern per qualche altro fashion designer già affermato. Ho voluto fare da me, impormi con le mie sole forze. Qualcosa di giusto devo averlo fatto, visto che il mio fashion brand è andato avanti per ben 13 anni, finché non ho deciso di trasferirmi a Parigi. Allora, ho lavorato come costumista per qualche film e per CBS. Sono approdata al giornalismo di moda per caso. La moda mi scorre nel sangue e a volte penso che, se anche volessi prendermi una pausa, non potrei. >>
– ASVOFF è stato il primo fashion film festival ad essere lanciato. Il primo in assoluto, l’originale, prima di altre manifestazioni simili… Come mai ha deciso di fondarlo?
<< Dopo essere stata una fashion designer per il mio marchio e per ben 13 anni, creare un festival che evidenziasse l’importanza dei video per la moda ha chiuso naturalmente il cerchio con la mia laurea in filmmaking. Nel 2005 Mark Eley mi ha commissionato di realizzare un road movie per il lancio della sua prima collezione maschile. Era intitolato Adventures of Pleasure. Lo mostrai al contributor da Los Angeles del mio blog e lui mi propose di organizzare una proiezione nella sua città. Tuttavia, non volevo che fosse proiettato da solo nelle sale. Allora, poiché l’idea mi ronzava già da un po’ di tempo in testa, organizzai la prima edizione di un fashion film festival chiamato You Wear it Well, che insieme al mio co-curatore inaugurai il 3 agosto al Cinespace di Hollywood Boulevard. Divenne itinerante attraverso 12 città per due anni. Quando mi resi conto che, in fondo, ero io ad occuparmi di quasi tutto, decisi di lanciare un’iniziativa tutta mia e cambiai il nome in ASVOFF nel 2008. In un certo modo, sono stata all’avanguardia sia con il mio blog che con il mio festival. Quando iniziai a scrivere come fashion blogger nel 2005, ad esempio, esistevano solo blog di cibo, politica ed economia. In qualche modo, lanciai un trend sia con il mio fashion blog che con il mio festival. >>
– Qual è la sua “shaded view”, il suo punto di vista sulla moda di oggi? Rispetto a quando iniziò la sua inarrestabile carriera negli anni Ottanta, le sembra che le cose siano cambiate per il meglio o per il peggio?
<< Non sono proprio il genere di persona che vive ancorata al passato. Allora, era difficile essere una stilista indipendente negli States, dove predominava lo sportswear e peraltro di massa. Tuttavia, penso che oggi – con realtà distributive quali Uniqlo, H&M, Zara, etc. – sia ancora più difficile convincere il pubblico a spendere 10 volte di più per avere dei capi firmati dalle linee, tutto sommato, piuttosto simili a quelle che caratterizzano le collezioni del fast fashion. Sono stata da Uniqlo qualche giorno fa. Ora che Christophe Lemaire è direttore artistico, ci trovi cappotti molto ben disegnati per una frazione del prezzo che si pagherebbe acquistandoli da Lemaire. Sicuramente è positivo per i consumatori, ma arduo per i marchi indipendenti. Per contro, attraverso i social media, oggi è possibile promuovere le proprie creazioni molto più velocemente di quanto non fosse possibile in passato. >>
– Quali criteri ha seguito nel selezionare i video in concorso ad ASVOFF?
<< L’istinto. Faccio tutto seguendo il mio istinto. Se un filmato non cattura la mia attenzione in pochi secondi, probabilmente non lo farà con nessun altro. Amo lo storytelling. In fondo, i criteri secondo cui un fashion film è valutato non sono lontani da quelli con cui si giudicherebbe un feature film, con qualche categoria aggiuntiva come lo styling o il beauty. Considero l’art direction, la regia, la direzione della fotografia, la conduzione degli attori e la recitazione, così come il sound design. Tengo molto anche ai film realizzati dagli studenti. >>
– Come dimostrano Prada e Gucci, il ruolo dei video nella comunicazione dei marchi di moda è sempre più rilevante. Se dovesse collaborare con un regista, chi sceglierebbe?
Un fotogramma tratto da “The Postman Dreams” di Prada, uno dei premiati della decima edizione di ASVOFF.
<< Una domanda interessante. Temo di non riuscire a sceglierne solo uno. A seconda del regista, il mood cambia moltissimo. Direi Pedro Almodovar per il suo humour e Mike Figgis o Jerry Schatzberg, eternamente geniali. >>
– Se Ms. Diane Pernet fosse un film, quale sarebbe?
<< Amo molti film, ma non riesco ad identificarmi totalmente in alcuno di essi. >>
Come volevasi dimostrare. Ci ho provato, ma è impossibile perfino a lei stessa definire con precisione la sua personalità multisfaccettata in camaleontica, continua evoluzione.
I vincitori di ASVOFF 2018
– Miglior Talento Emergente: Stuck Inside by Alec Davis
– Grand Prize in partnership con Persol: Grisha’s Guide to Kiev by Jordan Blady
– Miglior Art Direction: Our Time by Diane Russo
– Miglior Styling: Sgualdrina for GCDS by Nadia Lee Cohen
– Categoria Beauty: Black by Isaac LockBest
– Categoria Advertising: Postman Dreams by Autumn de Wilde for Prada
– Miglior Recitazione: The Great Newman by Suzie and Leo
– Miglior Montaggio: Women in Shadow by Maximilian Homaei
– Miglior Sound Design: Charles Jeffery for Loverboy by Matt Lambert
– Miglior Direzione della Fotografia: Glow by Ivan Olita
– Categoria Documentario: Elisha Smith-Leverock con Miss Black Germany
– Global Champion’s Award for Journalism: Loic Prigent
– Global Champion’s Award for retail: Ian Rogers for 24 Sèvres
– Global Champion’s Award for Designer: Kim Jones for Dior