Una fervida attività lega ultimamente l’artista cinese Liu Bolin e la città di Milano. Dopo la performance al museo della Pietà Rondanini al Castello Sforzesco e l’evento Hiding in the Fashion Districts che ha animato via Montenapoleone lo scorso febbraio, al performer originario dello Shandong – che di recente nel capoluogo meneghino ha vinto l’edizione 2019 del “Premio BNL Gruppo BNP Paribas” al Mia Photo Fair – è ora dedicata una personale che raccoglie circa cinquanta scatti rappresentativi delle performance mimetiche per cui è noto a livello internazionale.
Allestita nello spazio MUDEC PHOTO del Museo delle Culture di via Tortona 56, l’esposizione ripercorre alcuni dei progetti più noti di Liu Bolin – alcuni dei quali sviluppati nell’arco di un decennio – oltre ad una performance realizzata per l’occasione, mimetizzandosi proprio tra gli oggetti della collezione permanente del museo.
Il rapporto con Milano risale però almeno a quasi dieci anni orsono, quando luoghi iconici della città come il Teatro alla Scala e il Duomo sono stati utilizzati come set per i suoi camouflage. L’uomo invisibile, come è stato soprannominato, è però tutt’altro che un artista locale. A partire dai temi che affronta: se i suoi progetti sono assolutamente site-specific, il focus degli scatti spazia dalla relazione tra individuo e ambiente nelle grandi metropoli internazionali (le serie Hiding in the Rest of the World e Hiding in Italy), al confronto tra la visione della cultura orientale e occidentale, fino ad acuti commenti sulla società dei consumi e sui beni che essa produce, come smartphone, magazine e lattine (si veda ad esempio il ciclo Shelves).
Camaleontico non solo nella mimetizzazione ma anche negli interessi, Liu Bolin ha preso parte a progetti dal risvolto sociale, riflettendo spesso sulla relazione tra tradizione, identità e progresso (documentata in primis nella serie Hiding in the City, che ha catturato la demolizione del suo stesso studio nel Suojia Arts Camp, ad opera delle autorità cinesi). Ma non ha esitato a prestare il proprio talento anche a iniziative legate a brand di moda e lusso, la più recente delle quali lo ha visto nel ruolo di testimonial di una campagna per Moncler firmata da Annie Leibovitz.
La varietà degli scatti raccolti in “Visible Invisible”, curata da Beatrice Benedetti e prodotta da 24 ORE Cultura-Gruppo 24 ORE in collaborazione con Boxart Gallery, che da anni rappresenta l’artista in Italia, ripercorre cicli ormai storici e di ampio respiro che rendono appieno la duttilità del suo approccio alla fotografia e al body painting. La meticolosa preparazione che precede l’integrazione di Liu Bolin con lo sfondo scelto si apprezza appieno durante le performance live, ma i video proiettati alla mostra rendono bene l’idea dell’attenta pianificazione che precede ogni foto. Un’arte dell’attesa, si potrebbe dire, che culmina nel clic dell’otturatore della macchina fotografica.
È però nelle recenti incursioni nei temi caldi che toccano individui, nazioni e istituzioni che si percepisce quasi un cambio di stile. Nel ciclo Migrants, infatti, dedicato al tema dell’immigrazione, Liu Bolin compare sì ancora mimetizzato sullo sfondo dei barconi che trasportano i migranti verso il sogno di vite migliori, ma al tempo stesso lascia spazio ad altri performer, dirigendo i rifugiati coinvolti nel progetto (ospiti di alcuni centri d’accoglienza siciliani) e lasciando che siano i loro corpi a raccontare le storie intrise di disperazione e speranza. Liu Bolin diventa così stylist e creative director, regista e non più protagonista unico ed indiscusso della sua arte.
La poetica che lo contraddistingue, quel nascondersi per mostrare le cose ma senza scomparire completamente, fondendosi con lo sfondo ma senza esserne inglobato, diventa fulcro di denuncia e presa di posizione su tematiche che sono sotto i nostri occhi, ma che spesso scegliamo di non vedere. L’artista ci invita quindi ad andare oltre la superficie degli oggetti, indagando e approfondendo le storie, i luoghi e i materiali che hanno ispirato i suoi scatti, e richiamando così la mission stessa del MUDEC: raccontare le culture del mondo attraverso la cultura materiale dei popoli che lo abitano.
“Visible Invisible” è visitabile fino al 15 settembre 2019. Per informazioni: www.mudec.it