Ventisette sale per la prima personale italiana dell’artista belga Luc Tuymans, aperta al pubblico fino al giorno della Befana del prossimo anno.
Il primo impatto che ho avuto entrando a Palazzo Grassi per la visita della mostra La Pelle è stato l’imbarazzo nel calpestare o meno il mosaico installato a terra; un dettaglio ingigantito di Schwarzheide del 1986 (opera non presente nella personale).
L’intervento artistico è pensato per essere un tutt’uno con la corte interna dell’edificio. Infatti, è incorniciato da un marmo verde, simile se non uguale a quello utilizzato per l’esistente rivestimento. L’opera è stata definita monumentale, anche se personalmente non riesco a paragonarla tale dopo aver visto la maestosa scultura realizzata da Damien Hirst un paio di anni fa con Treasures from the Wreck of the Unbelievable.
Salendo lo scalone centrale che porta all’effettiva esposizione, mi accoglie un piccolo quadro. Il languido ritratto di Albert Speere dagli occhi chiusi, si intitola Secrets e intrattiene il visitatore anticipando il tono di tutta mostra.
“L’esposizione potrebbe essere definita una retrospettiva introspettiva” come spiega l’artista in un’intervista, per il fatto che le opere esposte sono frammenti di passati eventi espositivi ed esperienze, unificati e accordati per l’occasione veneziana.
Una scelta espositiva che è stata ragionata dall’artista per due anni assieme alla curatrice Caroline Bourgeois. Frutto di un desiderio di poter far dialogare ogni opera scelta con lo spazio circostante.
La mia fascinazione delle opere di Luc Tuymans è la potenzialità nel dettaglio. Minimi fotogrammi raccolti da pellicole di film, reportage o programmi televisivi vengono enfatizzati ed esorcizzati in elementi chiave con nature di pensiero pronunciato e compiuto. Un trascurabile particolare come quello della propria gamba (My Leg – La mia gamba, olio su tela del 2011) si presenta al visitatore come un’opera astratta e completa, pensata per essere una sofisticata composizione.
Il titolo La Pelle fa riferimento al romanzo dello scrittore italiano Curzio Malaparte a sottolineare non il concetto letterale ma essenzialmente quello del suo substrato come è per le tele che pur avendo una superficie, il vero valore è composto dall’esperienza pittorica nella quale è spiritualmente intrisa.
È con questa riflessione che il percorso espositivo si struttura in modo fluido e costante fino alla fine. Probabilmente in preparazione alla tappa successiva: la collettiva collaterale a Punta della Dogana, sempre della Collezione Pinault, dal titolo Luogo e segni, aperta fino al 15 dicembre 2019.
Ma di questo ne parleremo in un prossimo appuntamento, prossimamente su Bobos.