Matthew McConaughey: con un cognome così è un miracolo diventare famosi. I giornalisti non ricordano mai come si scrive, i fan come si pronuncia.
Eppure il texano, col suo accento miagolante, tipico di chi è nato nello stato della Stella Solitaria e la bellezza da fotomodello, a 44 anni è l’attore più cool di Hollywood. Non è facile essere contemporaneamente nominati all’Oscar come miglior attore protagonista e testimonial per un profumo di Dolce & Gabbana.
Prima di lui, a diventare una star superati i quaranta, ce l’aveva fatta solo George Clooney, ma l’Oscar era da non protagonista e la pubblicità quella del caffè: K.O. tecnico per Matthew.
Chi l’avrebbe detto, quanto lontano sarebbe arrivato questo ragazzone di Uvalde? Una cittadina di 15.000 abitanti, al confine tra nord e sud Texas, dove il tempo non passa mai e s’imbottigliano succo di cactus e miele Huajillo.
Figlio di un’insegnante d’asilo e del proprietario di una stazione di servizio, nonché ex giocatore professionista di football, Matthew ha sangue irlandese, svedese e tedesco. Tra i suoi antenati c’è il Generale Dandridge McRae, eroe confederato della battaglia di Pea Ridge.
Sul grande schermo, salvo qualche sporadico successo, presto dimenticato, come U571 e Edtv, sembrava destinato a una carriera da sex symbol di serie b. All’arrivo dei quaranta la carriera era al tramonto.
Ma McConaughey aveva degli assi nascosti nella manica. Probabilmente senza saperlo. Il poker, infatti, è arrivato quando, di fatto, ha smesso di cercare la fama e si è dedicato al cinema d’autore. Non più avventuriero ipervitaminizzato ma anti-eroe tutto nervi ed energia repressa, finalmente intento a guardarsi dentro e non a proiettare testosterone.
Che sotto al fumo ci fosse dell’arrosto l’avevamo capito già nel lontano 1996, quando in Stella Solitaria, di John Sayles, interpretò un vice sceriffo intenzionato a riparare i torti del suo superiore corrotto. Uno dei migliori film di Sayles e l’unico titolo pre-2010 della filmografia di McConaughey da recuperare.
La svolta inizia nel 2011, con The Lincoln Lawyer, un bel thriller tratto dall’omonimo romanzo di Michael Connelly. Se ne accorgono in pochi ma il protagonista rivela un senso della misura che eleva la pellicola al di sopra del semplice intrattenimento.
Mud, del 2012, lo vede nel ruolo di un bandito per amore, rifugiatosi su un’isoletta, mentore di un adolescente trascurato dai genitori. Un po’ orco un po’ eroe, lento di cervello ma forte di un istinto animale per la sopravvivenza: Mud sembra uscito da un romanzo di John Steinbeck.
Dirige Jeff Nichols (se non avete visto il suo Take Shelter andate subito a cercarlo) con mano ariosa, quasi western, e McConaughey è perfetto: denti storti, eloquio lento come le acque del Mississippi, un viso da naufrago che finalmente rivela l’età.
Il 2012 è l’ora di Magic Mike, di Steven Soderbergh, ruolo secondario di anziano stripper, ora manager di ragazzi ai quali ruba denaro e illusioni. Lo schermo, nonostante la presenza di Channing Tatum è tutto per lui ed il suo ultimo balletto entrerà tra le scene di culto del nuovo millennio.
Questo abbandono crepuscolare culmina nel 2013 con i trenta chili persi per Dallas Buyers Club, film che gli regalerà l’Oscar (non abbiamo dubbi) non tanto per la perdita di peso ma per l’intensità che infonde al personaggio. La stessa che ritroviamo in televisione nel detective Cohle, co-protagonista della magnifica miniserie True Detective, per HBO.
La favola di Matthew McConaughey è quella di un uomo che doveva rinunciare alla bellezza per trovare il talento. Ne sa qualcosa la collega Charlize Theron: ricordate Monster? Ora lui è tornato in forma smagliante (come Charlize, d’altronde) ed ha tutto: “looks” e rispetto. Può puntare alle stelle: dove lo manderà Christopher Nolan l’anno prossimo, in Interstellar.