Questa settimana ho incontrato Andrea Coccia, giornalista per Linkiesta (Grazia, Saturno, ilPost.it, L’Antitempo) e fondatore della rivista letteraria El Aleph. Andrea lunedì ha pubblicato un articolo molto interessante sul “picking”: una pratica diffusa del giornalismo digitale di aggregare contenuti dalle stesse fonti di informazione per ottenere traffico in modo rapido e sostanzialmente poco creativo.
Ciao Andrea, parto con una provocazione: nell’apertura del tuo articolo di lunedì su Linkiesta citi Jonathan Stray, parli di Content Curation e del ruolo del giornalista moderno. Poi affronti il tema centrale del picking, vale a dire la questione – attualissima e molto seria – dell’omologazione dei contenuti digitali.
Se altri giornalisti, oltre a te, avessero fatto la stessa riflessione seguendo il medesimo percorso logico, il tuo articolo avrebbe avuto meno valore?
No, per niente. Ma di sicuro se qualche altro giornalista avesse fatto lo stesso ragionamento prima di me, seguendo lo stesso percorso logico e arrivando alle stesse conclusioni io quell’articolo non l’avrei scritto, non ce ne sarebbe stato bisogno. Magari ci avrei ragionato anch’io, partendo dall’articolo del mio collega, alimentando il dibattito, portandolo avanti, ma non avrebbe avuto alcun senso replicare con un articolo fotocopia.
Per descrivere questo (triste) fenomeno, segnali come un post su Slate sia stato ripreso, in soli tre giorni, da tre diverse fonti di informazione italiane che hanno dato la stessa notizia. Perché quest’omologazione può essere “un problema di tutti”?
Perché quando il mondo dell’informazione si impoverisce — e se si limita a cercare click e condivisioni, puntando a piccoli scoop/gossip ripresi in giro io credo che si stia impoverendo — beh, allora tutta la società si impoverisce. Qualche prova mi sembra che ce l’abbiamo già davanti agli occhi.
Quanto la mancanza di tempo e la necessità di numeri immediati influenza, nel giornalismo web, la mancanza di idee e qualità?
Chiaramente lavorare di fretta non fa bene, a nessun lavoro, come anche dover lavorare pensando soltanto al risultato.
Sarà possibile trovare un modo diverso di valorizzare le notizie se prima non saranno trovati nuovi parametri, anche commerciali, di valutarne il successo?
Non credo che abbiamo davanti un bivio: o troviamo la quadra, o questo lavoro sarà derubricato a passatempo.
Attualmente collabori con Linkiesta. Avrai, come tutti, scritto articoli di cui sei più fiero ed altri di cui senti meno la paternità. E se la tua storia più virale fosse nata facendo picking?
Cerco di lavorare seriamente ad ogni articolo che faccio. Quelli che derivano da aggregazione di contenuti altri non li firmo con il mio nome, ma come Lkcultura, e così fanno i miei colleghi. Il motivo è semplice, quei pezzi li può scrivere chiunque. La firma, e di conseguenza la paternità, ha senso quando nell’articolo ci hai messo qualcosa di tuo, quando c’è un valore aggiunto che dipende da te. Se è un contenuto aggregato non ha senso.
Ci sono anche buoni esempi di storytelling: ne cito un paio, da questo reportage nell’Antartide del Guardian (in versione beta) sino a questo viaggio nella vita newyorkese di Corriere.it.
Hai tre esempi di articoli che ti hanno emozionato e regalato una bella storia, negli ultimi mesi?
Non me ne vengono in mente in questo momento.
Lo stile BuzzFeed (ne parli tu stesso qui) non è solo un sistema facile ed indolore di collezionare likes e visite uniche, ma è anche un brillante percorso editoriale di successo. Forse noi, facendone il verso, ne cogliamo solo la sfumatura più leggera e superficiale?
Chi in Italia ripropone pedissequamente il modello delle liste convinto di riproporre “il modello BuzzFeed” non ha capito che cos’è BuzzFeed: è prima di tutto un modello economico, e poi mica fa solo liste.
C’è spazio, secondo te, per un giornalismo italiano e diverso di raccontare le notizie?
Chiaro che c’è spazio, e se riusciamo a trovare un nuovo modello di business che ci smarchi dalla dipendenza (inutile) dalle pagine viste, a disposizione ci sono praterie. Io nel mio piccolo cerco di essere onesto, trasparente, di trasmettere un interesse, una passione. Non so se ci riesco sempre, ma sicuramente ci provo sempre. In ogni caso ci sono tanti giovani giornalisti che ci provano, io credo ci sia speranza.
L’immagine in copertina del tuo articolo (Robert Redford e Dustin Hoffman nel film Tutti gli uomini del Presidente) è un nostalgico richiamo al giornalismo d’inchiesta. Ma oggi, Google alla mano, non sarebbe stata diversa anche quella avventura, divenuta simbolo della libertà d’espressione?
Direi proprio di sì, mi sembra ovvio, ma se mi chiedi come sarebbe andata a finire ti dico che non ne ho la minima idea.