A Piero Manzoni occorrevano le ali

0

Non ci si stacca dalla terra correndo e saltando, occorrono le ali. Sono le ali che Piero Manzoni cercava in quei ventinove anni interrotti da un infarto arrivato troppo presto. C’erano da aspettarsi grandi cose da uno che a ventritré anni firmava il suo manifesto più celebre, “il quadro è la nostra area di libertà – diceva – l’arte è quel cocktail di libertà, invenzione, gioia”, quando io a ventisei so a malapena dirvi cos’ho studiato senza annoiarvi troppo; e Palazzo Reale e la sua Milano gli dedica una mostra (avete tempo fino al 2 giugno). Piero Manzoni aveva capito presto che gli servivano quelle ali per cercare, oltrepassare, staccarsi dal pensiero e dalla percezione dell’arte comune. Le trova in un percorso artistico che parte dall’organicità del segno e arriva al puro concetto, la sua celebre firma. Parte dal desiderio di far esistere le immagini a partire da quadri bianchi costituiti da pezze affiancate e da tele piegate, gli Achromes, alla ricerca del momento germinale in cui tutto è possibile, in cui ogni immagine è possibile. Per arrivare alla merda, sì quel barattolino che conteneva la celebre “Merda d’artista”. Strepitoso manager di sé stesso, Piero Manzoni capisce che l’arte si aggrappa all’artista stesso, che il concetto dietro alla tela o dentro ad una scatola è più forte di qualsiasi immagine verosimile, che qualcosa è perché “è e basta”. Era un insaziabile, un impaziente, un Manzoni bruttino che non ti aspetti che si rinchiudeva nella sua stanza e dipingeva e fabbricava senza soluzione di continuità. E trova il punto zero, l’essenza, da cui ogni immagine, nella nostra mente o da una matita, parte. Ventinove anni sono troppo pochi, chissà cosa avrebbe combinato l’irrequieto Manzoni.

[column grid=”2″ span=”1″]
[/column] [column grid=”2″ span=”1″]

[/column]

SUBSCRIBE
Unisciti alla nostra mailinglist, sai che vuoi farlo.