IMPERIAL

Fast fashion? Che sia made in Italy.

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La pandemia e il lockdown hanno lacerato, oltre alle nostre vite, anche il sistema moda. Qualche volta, l’hanno spinto a reinventarsi, almeno in parte. In generale, l’hanno indotto a porsi degli interrogativi.

Giorgio Armani in primis ha lanciato un messaggio al mondo della moda, invitandolo a cambiare per adeguarsi al post Covid-19. Basta con gli sprechi, con la sovrapproduzione, con l’obsolescenza forzata dei capi. Insomma, ha auspicato un ritorno all’autenticità e a tempi più distesi, meno commerciali.

Visionario o irrealista? A prescindere dalle ripercussioni del coronavirus, il dibattito era già incominciato, nel momento in cui è iniziata la riflessione collettiva sulla moda etica e sostenibile. Sempre più urgente.

Però, accanto alle insegne straniere del fast fashion, ci sono anche realtà italiane. Come Imperial, marchio nato nel 1978 da un’intuizione degli imprenditori Adriano Aere ed Emilia Giberti, pionieri in Italia del processo produttivo che poi sarebbe stato denominato fast fashion.

Da allora, la produzione orgogliosamente made in Italy d’Imperial è cresciuta fino ad avvalersi di uno staff di oltre 300 collaboratori, coinvolgendo una rete distributiva in 1500 negozi tra monomarca e multimarca in tutto il mondo. Quindi, oltre alla moda che sfrutta la manodopera sottopagata di lavoratori a basso costo in paesi lontani, esistono anche realtà italiane che danno lavoro sul territorio. In Emilia Romagna, in Veneto, in Toscana, in varie regioni italiane.

Grazie anche a loro, il made in Italy continuerà ad essere apprezzato ovunque nel mondo e a farci sognare. Perché le belle giornate, quelle in cui si ha voglia d’indossare un abitino dal tessuto impalpabile o di leggerezza in senso lato, stanno per arrivare.

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